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Migranti, il vertice Ue non è stato un successo politico

L’accordo (o il non accordo) Ue sui migranti è stato un trionfo su tanti piani, ad eccezione dell’unico sul quale si attendevano risultati, e cioè quello politico.
Sul piano semantico, ad esempio, possiamo parlare di un capolavoro: eurocrati e nuovo ordine (quelli di Visegrad, l’Austria il Belgio e l’Italia) preoccupati rispettivamente per mercati, consenso e popolo hanno trovato un terreno comune fondendo semantica aziendale e politiche populiste, il tutto cristallizzato in 12 punti.

Sfogliando il documento scopriamo che i refoulement, i respingimenti, per cui l’Italia è stata già condannata nel 2012, sono ora una politica accettata, condivisa e definita “accordi di riammissione”; la versione pilota elaborata da Gerald Knaus nel patto con la Turchia è servita come test e a tutti piace. Il primo esperimento dovrebbe essere con la Libia, anzi con l’incomprensibile intreccio di banditi, trafficanti, ex ufficiali del regime che va ora sotto il nome di “Guardia costiera libica” e che ha acquisito, grazie a giochi semantico-contabili, rispetto e dignità internazionale, nonostante il Paese – scegliete voi quale dei due – non abbia mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra e sia considerato uno dei posti più pericolosi al mondo. Pericoloso per chiunque ma secondo l’UE non per i richiedenti asilo,  immuni al mercato degli schiavi, a violenze e torture.

Si parla poi di “centri sorvegliati“, ossia un modo soft per dire “prigioni“: nell’accordo (volontario, quindi al massimo una dichiarazione) andrebbero costruiti solo in quei paesi disposti ad accettare richiedenti asilo anche se paesi disponibili, a quanto pare, non ci sono. E si parla di centri in Paesi terzi con la simpatica formula dell'”esternalizzazione delle frontiere” come già fatto con la Turchia (che in Europa non entrerà mai però può vantarsi di essere una frontiera esterna UE). Frontiera a pagamento, ovviamente, come Nauru e Papua Nuova Guinea sono frontiere australiane nel Pacifico: agli europei l’affitto della frontiera orientale costerà in tutto sei miliardi di euro in totale, versati in due tranche ad Erdogan per tenersi 2,5 milioni di profughi siriani.

Sui centri turchi non possiamo esercitare alcun controllo democratico e a fatica riusciamo a monitorare l’impiego di quel denaro degli europei ma i vertici UE dicono che va tutto bene, che il modello funziona e per quanto gli Stati del Maghreb e i candidati balcanici all’ingresso nell’UE, Albania e Kosovo, non vogliano saperne di diventare “discariche umane” per l’Unione, l’asse eurocrati-sovranisti non si ferma davanti alle prime difficoltà: se quei paesi non ci stanno, le frontiere europee si sposteranno a sud, nel Ciad, in Niger e magari anche in Sudan, dove Al-Bashir -unico capo di Stato al mondo in carica ricercato per crimini contro l’umanità- non vede l’ora di finire sul libro paga dell’UE.

C’è poi un altro singolare istituto: si chiama piattaforma regionale di sbarco ed è stata in tutto e per tutto mutuata dal “No Wayaustraliano. Si tratta di centri dove esseri umani vengono separati, come la differenziata, tra chi può fare richiesta d’asilo e chi invece ha lo stigma di migrante economico e può essere rimpatriato immediatamente. Chi ha pensato questo ennesimo capolavoro parte dal presupposto che una richiesta d’asilo sia processabile a vista, che esista una lista universalmente riconosciuta di Paesi sicuri (no, non esiste) e soprattutto che esista un concetto di Paese sicuro (no, non esiste): trucchi contabili o semantici, le domande d’asilo rimangono un atto individuale, chiunque può chiedere tutela internazionale anche chi non è in fuga dalla guerra.

La Turchia, ad esempio, è nostro partner NATO, “frontiera esterna” e candidato all’ingresso nell’UE eppure lo scorso anno, in Olanda – per portare un esempio che mi è prossimo – sono state accolte oltre 30 domande d’asilo di cittadini turchi. Il rischio è che l’euro-accordo finisca per bocciare richieste, come già accade, di chi ne avrebbe titolo. Le situazioni non sono tutte chiare e spesso richiedono mesi per essere analizzate a dovere.

Ma questo all’asse eurocrate-populista importa poco: la semantica aziendale dell’establishment e la politica militare dei populisti contro i migranti una sintesi (almeno a parole) l’hanno trovata.