Per il centrodestra il provvedimento del governo "copia la Cgil", è una cosa "alla Bertinotti". A dividersi è il campo del centrosinistra: per il dem Gentiloni introduce solo ostacoli per lavoro e investimenti (d'accordo con Confindustria), per Leu le misure invece sono troppo timide. Ma Speranza: "La direzione è giusta, tocca a noi far emergere le distanze tra M5s e Lega senza demonizzare"
Troppo timido, dice la sinistra: il Jobs Act rimane quasi tutto intero, spiega Nicola Fratoianni, ma ci sono alcuni punti su cui dialogare, aggiunge Roberto Speranza. Troppo invasivo, dice il Pd: “Introduce soltanto ostacoli per lavoro e investimenti. Lasciamo stare la dignità” twitta l’ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni . “Ad oggi vedo tanta propaganda e poca dignità” aggiunge il segretario Maurizio Martina. Il decreto dignità cambia forma e colore a seconda di chi lo guarda. Per il centrista Lorenzo Cesa così il ministro del Lavoro Luigi Di Maio “sposta l’asse a sinistra”, per Giorgio Mulè di Forza Italia il vicepremier copia la Cgil fino ad Elvira Savino, un’altra berlusconiana, che paragona Di Maio a Fausto Bertinotti e a Giorgia Meloni che sottolinea che “la parte sul precariato sembra scritta dal Partito Comunista anni Ottanta“. Il ministro del Lavoro illustra il decreto insieme al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e non lascia cadere l’argomento, trasformandolo anzi in un mini-slogan: “Ieri eravamo un governo di destra, ora di sinistra. E’ che finalmente siamo un Paese orgoglioso di essere l’Italia, con un governo che comincia a difendere le fasce più deboli della popolazione”.
Il giudizio risente anche di un atteggiamento strumentale degli schieramenti d’opposizione: Forza Italia parla di un provvedimento “dettato dalla peggiore ideologia di sinistra” (Gabriella Giammanco) per cercare di mettere in evidenza le eventuali contraddizioni di una forza come la Lega in un governo con il M5s. Lo stesso accade dall’altra parte. C’è per esempio il dirigente di Liberi e Uguali Roberto Speranza che annuncia che non avrà un “atteggiamento pregiudiziale” nei confronti del decreto: è vero, ammette, “le aspettative erano molto più alte di un testo che pare piuttosto rinunciatario sulle questioni del lavoro”, ma “un’opposizione intelligente vuol dire saper distinguere: a me pare ci siano differenze enormi tra alcune proposte del Movimento 5 Stelle e la linea sostenuta da Matteo Salvini. Non a caso ieri il capo della Lega non era al Consiglio dei ministri che ha approvato il decreto dignità. Tocca a noi, la sinistra, far emergere le distanze che nel merito sorgeranno tra M5s e Lega. La demonizzazione, invece, non ci porterà da nessuna parte”.
Una strategia che però non pare appartenenere al quadro dirigente del Partito Democratico. Per il presidente del Pd Matteo Orfini il decreto “è solo un ritorno al tempo in cui si favoriva il lavoro nero“. Secondo il senatore Tommaso Nannicini, che fu consulente economico di Palazzo Chigi al tempo di Matteo Renzi, la vera dignità sarebbe non spacciare un milleproroghe per una riforma, mentre La senatrice Teresa Bellanova, ex viceministra dello Sviluppo, replica a Di Maio che il decreto “non licenzia per niente il Jobs Act, non parla di tempo indeterminato, irrigidisce senza prospettive il mercato del lavoro”.
Parole che si avvicinano a quelle di Confindustria e delle varie “Conf”: Confindustria, Confesercenti, Confcommercio, Confimprese: “L’unico denominatore comune delle scelte fatte in tema di lavoro e delocalizzazioni – si legge in una nota dell’unione degli industriali – è di rendere più incerto e imprevedibile il quadro delle regole in cui operano le imprese italiane: l’esatto contrario delle finalità di semplificazione e snellimento burocratico dichiarate dal nuovo governo all’atto del suo insediamento”. “E’ un po’ un ritorno al passato – aggiunge Alessio Rossi, presidente di Confindustria Giovani – perché irrigidisce un po’ le procedure e aumenta i costi per i contratti a tempo determinato e non favorisce la creazione di posti di lavoro”. Per Confcommercio “il governo decide di fare una grave marcia indietro sui contratti a termine introducendo, di fatto, forme di inutile e dannosa rigidità“.
E quindi l’unico punto di contatto tra Pd e sinistra resta sul fatto che il Jobs Act resta sostanzialmente intatto. Ma per i democratici la polemica si esaurisce con il fatto che Di Maio non fa quello che annuncia: “L’impianto del Jobs Act non viene neanche scalfito” dice Nannicini. “Altro che smantellamento del Jobs act – interviene Debora Serracchiani – se l’obiettivo era la lotta al precariato il decreto è sbagliato e lacunoso e non incide minimamente sulle cause profonde della precarietà del lavoro”. E’ d’accordo il leader di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni ma da tutt’altro punto di vista: “Contrariamente a quanto detto, purtroppo non si tocca il Jobs Act: l’unica modifica sta nell’aver aumentato l’indennità a favore di chi viene licenziato senza giusta causa. Ma l’idea che si possa licenziare quando ti pare, rimane tutta intatta, visto che non si interviene sulla reintroduzione dell’articolo 18, a garanzia dei lavoratori. Peraltro, l’aumento dell’indennità si scarica principalmente sulle piccole e medie imprese italiane, visto che se una grande azienda decide di licenziare, pagare qualcosa in più per liberarti di un lavoratore è come bere acqua fresca”.
Ma c’è una parte della sinistra che è più disponibile a un dialogo, che parla di “direzione giusta” anche se a fronte contenuti modesti o deludenti. Loredana De Petris, capogruppo di Leu al Senato: “Sono certamente positive le norme contro le delocalizzazioni, quelle sull’aumento dell’indennizzo per i licenziamenti senza giusta causa e la stretta sui contratti a termine con la reintroduzione delle causali, l’aumento del costo e il limite dei 24 mesi. Bisogna però segnalare che gran parte dei contratti a termine è sotto i 12 mesi“. Segnali di apertura anche dall’europarlamentare di Liberi e Uguali Sergio Cofferati, ex segretario della Cgil e protagonista della battaglia contro l’abolizione dell’articolo 18 ai tempi del governo Berlusconi: “Le intenzioni mi sembrano giuste – afferma – I contenuti sono ancora modesti, ci sono delle contraddizioni che dovrebbero essere risolte. Mi pare che vogliano camminare in una direzione che si può largamente condividere”.
Una posizione di attesa condivisa da tutti i sindacati. “La prima impressione è che ci sono degli argomenti giusti ma poco sviluppati”, affrontati in modo “parziale”, dice la segretaria generale della Cgil Susanna Camusso. Ad esempio “bene aumentare il risarcimento per i licenziamenti ingiustificati ma noi abbiamo sempre rivendicato il ritorno dell’articolo 18. E se non erro lo stesso ministro durante la campagna elettorale aveva sostenuto questa tesi”. “Siamo convinti – aggiunge Anna Maria Furlan, segretaria della Cisl – che vi siano questioni importanti, nodali assunte come priorità e questo lo condividiamo; sui singoli provvedimenti ci riserviamo una lettura attenta”. Di “direzione giusta” parla anche il segretario della Uil Carmelo Barbagallo “ma sono necessari alcuni aggiustamenti. Peraltro, ricordo che la Uil ha fatto uno sciopero contro il Jobs Act e, dunque, tutto ciò che aiutasse a modificare quel provvedimento è da valutare con favore”.