Il tesoro della Lega va sequestrato. Ovunque si trovi, visto che secondo i magistrati è stato accumulato grazie a una truffa sui fondi parlamentari. Lo dice la Cassazione, che il 12 aprile scorso, aveva accolto il ricorso della procura di Genova ordinando al Tribunale del Riesame di esprimersi di nuovo sui soldi del Carroccio. Una decisione importante perché relativa ai 48 milioni 969mila euro per cui il Tribunale di Genova, condannando il 24 settembre 2017 l’ex numero Umberto Bossi, il tesoriere Francesco Belsito e gli altri tre imputati, ne aveva ordinato la confisca. I supremi giudici oggi hanno depositato le motivazioni di quel verdetto, redatto dal giudice Giovanna Verga (presidente Matilde Cammino), sostenendo che il sequestro deve andare avanti fino a raggiungere i quasi 49 milioni. E questo deve avvenire dovunque siano o vengano trovati i soldi riferibili al Carroccio: su conti bancari, libretti, depositi. Il Riesame ora dovrà emettere un nuovo provvedimento tenendo in considerazione le indicazioni degli ermellini che sono vincolanti. Secondo Matteo Salvini, però, quei soldi non ci sono più: sarebbero già sono stati spesi.
Ad avviso dei Supremi giudici, la Guardia di Finanza può procedere al blocco dei conti della Lega in forza del decreto di sequestro, emesso lo scorso 4 settembre dalla Procura di Genova, senza necessità di un nuovo provvedimento per eventuali somme trovate su conti in momenti successivi al decreto. Invece, secondo Giovanni Ponti, legale del Carroccio, le uniche somme sequestrabili sono quelle trovate sui conti “al momento dell’esecuzione del sequestro” con “conseguente inammissibilità delle richieste del pm di procedere anche al sequestro delle somme depositande“. Secondo la difesa della Lega, il pm potrebbe chiedere la confisca “anche delle somme future” solo durante il processo di appello. Ma la Cassazione ha rivelato che i soldi sui conti potrebbero non essere stati trovati al momento del decreto “per una impossibilità transitoria o reversibile”, e il pm non deve dare conto di tutte le attività di indagine svolte “altrimenti la funzione cautelare del sequestro potrebbe essere facilmente elusa durante il tempo occorrente per il loro compimento”.
“È del tutto evidente l’errore di diritto in cui è incorso il Tribunale del Riesame di Genova laddove – scrivono gli ermellini, nelle otto pagine di provvedimento – ha affermato che una volta constatata la temporanea transitoria e parziale incapienza della persone giuridica percettrice del profitto del reato, il pubblico ministero non avrebbe altra possibilità che quella di aggredire con il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente il patrimonio dei soggetti responsabili del reato essendo preclusa la possibilità di continuare parallelamente e progressivamente l’esecuzione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, e quindi, di sottoporre al vincolo cautelare anche le somme di denaro che in momenti successivi fossero entrati nella disponibilità dell’ente precettore del profitto”.
Quando gli uomini delle Fiamme Gialle eseguirono il decreto di confisca trovarono su conti e depositi del Carroccio poco più 1 milione e 651mila euro e chiesero al Tribunale di precisare se l’esecuzione del decreto avesse dovuto riguardare solo le somme giacenti sui conti al momento della notifica ed esecuzione o anche le somme depositate successivamente. La risposta fu che bisogna fermarsi al presente e non alle somme “depositande”. Il ricorso della Procura – che chiedeva di estendere l’esecuzione del sequestro anche alle somme depositate dopo la notifica del decreto – fu respinto dal Tribunale che sosteneva che bisognava dimostrare “un nesso di pertinenzialità trai reati e le somme da apprendere e che tale nesso è interrotto dalla intervenuta esecuzione del sequestro”. A questo punto i pm genovesi si erano rivolti prima al Riesame, che aveva respinto l’istanza della Procura, e poi alla Cassazione. Nel frattempo nei giorni scorsi il segretario della Lega, vicepremier e ministro dell’Interno, ha risposto che quei soldi sono stati spesi nel corso di 10 anni e di fatto non ci sono più. Anche perché nel frattempo la caccia al tesoretto è ripartita anche in virtù di una nuova inchiesta della Procura di Genova, questa volta per riciclaggio, nata proprio dopo il verdetto per la truffa.
Ma sul punto dei soldi spesi i giudici sembrano rispondere al segretario perché nel provvedimento riportano anche una sentenza a sezione Unite in cui si stabilisce che la natura “fungibile del bene, che si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche … rende superfluo accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita; ciò che rileva è che le disponibilità monetarie in questo caso dell’ente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo“. Inoltre, si legge nella sentenza, la misura cautelare “non è stata oggetto di contestazione” e la richiesta della procura di estendere il provvedimento originario anche alle somme affluite dopo la data dell’esecuzione del decreto “non comporta novazione”, non ha bisogno di essere riscritto. La conclusione è infine che appare legittima la confisca diretta del “relativo importo, ovunque e presso chiuque custodito e quindi anche di quello pervenuto sui conti e/o depositi in data successiva all’esecuzione del provvedimento genetico”. Una delle ultime puntate della caccia al tesoretto leghista risale a un paio di settimane fa quando emerse, grazie a una rogatoria, che i magistrati stavano cercando i soldi in Lussemburgo.
Salvini: “Sentenza politica. Cercano di metterci fuori legge” – Le motivazioni della Suprema corte hanno ovviamente scatenato una serie di polemiche politiche con il leader del Carroccio che ha accusato la Cassazione di aver emesso “una sentenza politica. Stanno cercando di metterci fuori legge, ma non ci stanno riuscendo. Siamo l’unico partito che si vuole mettere fuori legge per sentenza giudiziaria. Buon lavoro ai giudici ed agli avvocati, chi parla di soldi rubati viene querelato. Se ci sono fatti dieci anni fa, si pensi a quelli che c’erano dieci anni fa; i milioni di italiani che col 2 per mille danno un contributo al nostro partito non c’entrano. Siamo sereni”. Salvini è tornato a negare l’esistenza di quei soldi. “Quei 49 milioni di euro non ci sono, posso fare una colletta, ma è un processo politico che riguarda fatti di 10 anni fa su soldi che io non ho mai visto”, ha detto il vicepremier a In onda su La7. La decisione degli ermellini, infatti, aveva spinto gli esponenti del Pd ad attaccare le forze di governo. “La Cassazione spiega che alla lega vanno sequestrati 49 milioni di euro ovunque siano. Caro Luigi Di Maio, è un problema per il M5s o non fa niente? Una volta urlavi onestà, ora sei alleato con chi ha truffato gli italiani”, scrive su Twitter il presidente del Pd Matteo Orfini. Il post è stato retwittato dall’ex segretario Matteo Renzi. “La Cassazione di fatto dice a Salvini che è finita la pacchia. La Lega tiri fuori i 49 milioni che sono stati truffati allo Stato. Il Pd ha già presentato un’interrogazione urgente del collega Parrini. Salvini, la smetta di fare il bullo, e restituisca i soldi spariti misteriosamente dalle casse del suo partito”, dice il capogruppo dem a Palazzo Madama, Andrea Marcucci. “Forse l’efficacia dell’azione di governo della Lega dà fastidio a qualcuno, ma non ci fermeranno certo così”, replica Giulio Centemero, deputato del Carroccio e amministratore del partito. Da ambienti di via Bellerio, tra l’altro, filtra che “sono in fase di perfezionamento e stesura decine di querele nei confronti di chi parla a sproposito di soldi rubati dalla Lega”.
Giustizia & Impunità
Lega, la Cassazione sul denaro da confiscare dopo condanna Bossi: “Sequestrare i soldi ovunque siano”
I supremi giudici hanno depositato le motivazioni del verdetto con cui avevano accolto ad aprile il ricorso della procura di Genova contro la decisione del Tribunale del Riesame che ora dovrà emettere un nuovo provvedimento tenendo in considerazione le indicazioni degli ermellini. Salvini: "Soldi non ci sono. Posso fare una colletta. Processo politico: cercano di metterci fuori legge". Il Carroccio: "Querele per chi parla di soldi rubati"
Il tesoro della Lega va sequestrato. Ovunque si trovi, visto che secondo i magistrati è stato accumulato grazie a una truffa sui fondi parlamentari. Lo dice la Cassazione, che il 12 aprile scorso, aveva accolto il ricorso della procura di Genova ordinando al Tribunale del Riesame di esprimersi di nuovo sui soldi del Carroccio. Una decisione importante perché relativa ai 48 milioni 969mila euro per cui il Tribunale di Genova, condannando il 24 settembre 2017 l’ex numero Umberto Bossi, il tesoriere Francesco Belsito e gli altri tre imputati, ne aveva ordinato la confisca. I supremi giudici oggi hanno depositato le motivazioni di quel verdetto, redatto dal giudice Giovanna Verga (presidente Matilde Cammino), sostenendo che il sequestro deve andare avanti fino a raggiungere i quasi 49 milioni. E questo deve avvenire dovunque siano o vengano trovati i soldi riferibili al Carroccio: su conti bancari, libretti, depositi. Il Riesame ora dovrà emettere un nuovo provvedimento tenendo in considerazione le indicazioni degli ermellini che sono vincolanti. Secondo Matteo Salvini, però, quei soldi non ci sono più: sarebbero già sono stati spesi.
Ad avviso dei Supremi giudici, la Guardia di Finanza può procedere al blocco dei conti della Lega in forza del decreto di sequestro, emesso lo scorso 4 settembre dalla Procura di Genova, senza necessità di un nuovo provvedimento per eventuali somme trovate su conti in momenti successivi al decreto. Invece, secondo Giovanni Ponti, legale del Carroccio, le uniche somme sequestrabili sono quelle trovate sui conti “al momento dell’esecuzione del sequestro” con “conseguente inammissibilità delle richieste del pm di procedere anche al sequestro delle somme depositande“. Secondo la difesa della Lega, il pm potrebbe chiedere la confisca “anche delle somme future” solo durante il processo di appello. Ma la Cassazione ha rivelato che i soldi sui conti potrebbero non essere stati trovati al momento del decreto “per una impossibilità transitoria o reversibile”, e il pm non deve dare conto di tutte le attività di indagine svolte “altrimenti la funzione cautelare del sequestro potrebbe essere facilmente elusa durante il tempo occorrente per il loro compimento”.
“È del tutto evidente l’errore di diritto in cui è incorso il Tribunale del Riesame di Genova laddove – scrivono gli ermellini, nelle otto pagine di provvedimento – ha affermato che una volta constatata la temporanea transitoria e parziale incapienza della persone giuridica percettrice del profitto del reato, il pubblico ministero non avrebbe altra possibilità che quella di aggredire con il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente il patrimonio dei soggetti responsabili del reato essendo preclusa la possibilità di continuare parallelamente e progressivamente l’esecuzione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, e quindi, di sottoporre al vincolo cautelare anche le somme di denaro che in momenti successivi fossero entrati nella disponibilità dell’ente precettore del profitto”.
Quando gli uomini delle Fiamme Gialle eseguirono il decreto di confisca trovarono su conti e depositi del Carroccio poco più 1 milione e 651mila euro e chiesero al Tribunale di precisare se l’esecuzione del decreto avesse dovuto riguardare solo le somme giacenti sui conti al momento della notifica ed esecuzione o anche le somme depositate successivamente. La risposta fu che bisogna fermarsi al presente e non alle somme “depositande”. Il ricorso della Procura – che chiedeva di estendere l’esecuzione del sequestro anche alle somme depositate dopo la notifica del decreto – fu respinto dal Tribunale che sosteneva che bisognava dimostrare “un nesso di pertinenzialità trai reati e le somme da apprendere e che tale nesso è interrotto dalla intervenuta esecuzione del sequestro”. A questo punto i pm genovesi si erano rivolti prima al Riesame, che aveva respinto l’istanza della Procura, e poi alla Cassazione. Nel frattempo nei giorni scorsi il segretario della Lega, vicepremier e ministro dell’Interno, ha risposto che quei soldi sono stati spesi nel corso di 10 anni e di fatto non ci sono più. Anche perché nel frattempo la caccia al tesoretto è ripartita anche in virtù di una nuova inchiesta della Procura di Genova, questa volta per riciclaggio, nata proprio dopo il verdetto per la truffa.
Ma sul punto dei soldi spesi i giudici sembrano rispondere al segretario perché nel provvedimento riportano anche una sentenza a sezione Unite in cui si stabilisce che la natura “fungibile del bene, che si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche … rende superfluo accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita; ciò che rileva è che le disponibilità monetarie in questo caso dell’ente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo“. Inoltre, si legge nella sentenza, la misura cautelare “non è stata oggetto di contestazione” e la richiesta della procura di estendere il provvedimento originario anche alle somme affluite dopo la data dell’esecuzione del decreto “non comporta novazione”, non ha bisogno di essere riscritto. La conclusione è infine che appare legittima la confisca diretta del “relativo importo, ovunque e presso chiuque custodito e quindi anche di quello pervenuto sui conti e/o depositi in data successiva all’esecuzione del provvedimento genetico”. Una delle ultime puntate della caccia al tesoretto leghista risale a un paio di settimane fa quando emerse, grazie a una rogatoria, che i magistrati stavano cercando i soldi in Lussemburgo.
Salvini: “Sentenza politica. Cercano di metterci fuori legge” – Le motivazioni della Suprema corte hanno ovviamente scatenato una serie di polemiche politiche con il leader del Carroccio che ha accusato la Cassazione di aver emesso “una sentenza politica. Stanno cercando di metterci fuori legge, ma non ci stanno riuscendo. Siamo l’unico partito che si vuole mettere fuori legge per sentenza giudiziaria. Buon lavoro ai giudici ed agli avvocati, chi parla di soldi rubati viene querelato. Se ci sono fatti dieci anni fa, si pensi a quelli che c’erano dieci anni fa; i milioni di italiani che col 2 per mille danno un contributo al nostro partito non c’entrano. Siamo sereni”. Salvini è tornato a negare l’esistenza di quei soldi. “Quei 49 milioni di euro non ci sono, posso fare una colletta, ma è un processo politico che riguarda fatti di 10 anni fa su soldi che io non ho mai visto”, ha detto il vicepremier a In onda su La7. La decisione degli ermellini, infatti, aveva spinto gli esponenti del Pd ad attaccare le forze di governo. “La Cassazione spiega che alla lega vanno sequestrati 49 milioni di euro ovunque siano. Caro Luigi Di Maio, è un problema per il M5s o non fa niente? Una volta urlavi onestà, ora sei alleato con chi ha truffato gli italiani”, scrive su Twitter il presidente del Pd Matteo Orfini. Il post è stato retwittato dall’ex segretario Matteo Renzi. “La Cassazione di fatto dice a Salvini che è finita la pacchia. La Lega tiri fuori i 49 milioni che sono stati truffati allo Stato. Il Pd ha già presentato un’interrogazione urgente del collega Parrini. Salvini, la smetta di fare il bullo, e restituisca i soldi spariti misteriosamente dalle casse del suo partito”, dice il capogruppo dem a Palazzo Madama, Andrea Marcucci. “Forse l’efficacia dell’azione di governo della Lega dà fastidio a qualcuno, ma non ci fermeranno certo così”, replica Giulio Centemero, deputato del Carroccio e amministratore del partito. Da ambienti di via Bellerio, tra l’altro, filtra che “sono in fase di perfezionamento e stesura decine di querele nei confronti di chi parla a sproposito di soldi rubati dalla Lega”.
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Roma, 7 mar. (Adnkronos) - Esperti e stakeholder del settore energetico si sono riuniti ieri mattina a Key, in occasione del convegno 'Accelerating Sustainable Electrification: Key to Economic and Social Development on the African Continent' curato da Res4Africa Foundation, per parlare del ruolo fondamentale dell'elettrificazione nella trasformazione socioeconomica dell'Africa. Con una popolazione prevista di 2,5 miliardi entro il 2050, il continente deve prepararsi per affrontare una crescente domanda di energia, che richiede soluzioni urgenti e sostenibili.
La conferenza, organizzata in due panel, ha evidenziato la necessità di uno sviluppo di energia rinnovabile su larga scala, di modernizzazione delle reti elettriche e di investimenti in soluzioni per l’accumulo di energia, in modo da garantire l'accesso universale a un'elettricità affidabile, sicura e conveniente.
Oltre alle discussioni, le delegazioni africane presenti hanno avuto l'opportunità di esplorare le soluzioni innovative presenti a Key, rafforzando ulteriormente le collaborazioni pubblico-private volte all'elettrificazione sostenibile.
“I porti e le infrastrutture costiere rivestono un ruolo fondamentale per lo sviluppo dei progetti di energia rinnovabile offshore, poiché rappresentano il punto di partenza e di supporto logistico per la costruzione, l'installazione e la manutenzione degli impianti”. È quanto ha dichiarato ieri mattina Fulvio Mamone Capria, presidente di Aero, Associazione delle Energie Rinnovabili Offshore, al termine del convegno 'Portualità, logistica, trasporti e filiera industriale per l’eolico offshore in Italia'.
I porti sono destinati a diventare sempre di più hub dell’energia, capaci di garantire l'efficienza e la sostenibilità delle operazioni, ma anche di favorire l'innovazione tecnologica e il coordinamento delle attività tra i diversi attori del settore. “L'adeguamento e il potenziamento delle infrastrutture portuali sono determinanti per ridurre i costi e migliorare la competitività delle energie rinnovabili marine, rendendo i progetti più scalabili e accessibili”, ha continuato Mamone.
Il decreto ministeriale sui porti permetterà di semplificare gli investimenti e incentivare la creazione di un'infrastruttura solida e ben collegata.
Roma, 7 mar. (Adnkronos) - Esperti e stakeholder del settore energetico si sono riuniti ieri mattina a Key, in occasione del convegno 'Accelerating Sustainable Electrification: Key to Economic and Social Development on the African Continent' curato da Res4Africa Foundation, per parlare del ruolo fondamentale dell'elettrificazione nella trasformazione socioeconomica dell'Africa. Con una popolazione prevista di 2,5 miliardi entro il 2050, il continente deve prepararsi per affrontare una crescente domanda di energia, che richiede soluzioni urgenti e sostenibili.
La conferenza, organizzata in due panel, ha evidenziato la necessità di uno sviluppo di energia rinnovabile su larga scala, di modernizzazione delle reti elettriche e di investimenti in soluzioni per l’accumulo di energia, in modo da garantire l'accesso universale a un'elettricità affidabile, sicura e conveniente.
Oltre alle discussioni, le delegazioni africane presenti hanno avuto l'opportunità di esplorare le soluzioni innovative presenti a Key, rafforzando ulteriormente le collaborazioni pubblico-private volte all'elettrificazione sostenibile.
“I porti e le infrastrutture costiere rivestono un ruolo fondamentale per lo sviluppo dei progetti di energia rinnovabile offshore, poiché rappresentano il punto di partenza e di supporto logistico per la costruzione, l'installazione e la manutenzione degli impianti”. È quanto ha dichiarato ieri mattina Fulvio Mamone Capria, presidente di Aero, Associazione delle Energie Rinnovabili Offshore, al termine del convegno 'Portualità, logistica, trasporti e filiera industriale per l’eolico offshore in Italia'.
I porti sono destinati a diventare sempre di più hub dell’energia, capaci di garantire l'efficienza e la sostenibilità delle operazioni, ma anche di favorire l'innovazione tecnologica e il coordinamento delle attività tra i diversi attori del settore. “L'adeguamento e il potenziamento delle infrastrutture portuali sono determinanti per ridurre i costi e migliorare la competitività delle energie rinnovabili marine, rendendo i progetti più scalabili e accessibili”, ha continuato Mamone.
Il decreto ministeriale sui porti permetterà di semplificare gli investimenti e incentivare la creazione di un'infrastruttura solida e ben collegata.
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.