Prima hanno lottato contro la riconversione a carbone della centrale che da decenni sbuffa sopra le loro case. Poi hanno ceduto alla “ragion di Stato”, con la promessa che almeno ne avrebbero giovato in termini di posti di lavoro. Ma oggi che non sono passati nemmeno 10 anni da quando la clean cole technology è approdata sul litorale nord del Lazio, qualcuno ha detto loro che “forse”, anzi “probabilmente”, non dovranno più occuparsi di scaricare le circa 4.500.000 di tonnellate di carbone contenute nelle 60 navi che ogni anno attraccano all’ombra del Forte Michelangelo per trasferirlo direttamente nelle caldaie di Torrevaldaliga Nord. Se ne occuperà, a un prezzo quasi certamente inferiore, “qualcuno di fuori”. È per questo motivo che i camalli di Civitavecchia – oltre 300 lavoratori portuali a rischio – sono sul piede di guerra e minacciano di bloccare “a tempo indeterminato” uno dei porti più importanti d’Europa. Con buona pace della produzione elettrica nella vicina centrale e dei 4 milioni di crocieristi che ogni estate sbarcano nell’antica Centumcellae. Tutto ciò, mentre una prima settimana di sciopero è stata proclamata dall’11 al 17 luglio.
IL BANDO – Tutto nasce dalla decisione di Enel di pubblicare, il 5 giugno scorso, un bando di gara per la ricerca di un operatore che si occupi del carico e scarico del combustibile dalle navi che approdano alla banchina dedicata. Un servizio, da quasi 10 anni, realizzato dalla società civitavecchiese Minosse Spa, in collaborazione con la Compagnia Portuale, una delle cooperative di settore più antiche d’Italia. Va detto che la società elettrica, sebbene partecipata al 23,5% dal Ministero Economia e Finanze, non solo non sarebbe obbligata dal codice degli appalti in vigore a ricercare operatori sul mercato attraverso la gara d’appalto – come avviene per gli enti pubblici – ma, secondo i legali di Minosse, avrebbe agito in maniera illegittima in quanto “l’autorizzazione ex art. 16 n. 84/94 per il porto di Civitavecchia deve essere già posseduta al momento della gara” da parte delle imprese concorrenti al bando. Tradotto: l’operatore andava ricercato solo all’interno del porto. Cosa che fa il paio con il requisito finanziario richiesto, un valore della produzione nel triennio 2014-2016 pari ad “almeno 3.600.000 di euro” l’anno, obiettivo raggiungibile anche “cumulativamente” da imprese costituite in Consorzi.
LA CLAUSOLA SOCIALE – All’interno del bando, inoltre, è stata prevista la cosiddetta “clausola sociale” che tuttavia non chiude la porta a possibili licenziamenti. Sebbene il candidato debba “impiegare il personale utilizzato dall’appaltatore uscente per almeno 2 anni a parità di condizioni economiche”, secondo gli avvocati Angelo Sammarco e Enrico Pierantozzi, “è facile osservare che simile previsione appare irragionevole e non realmente operante”, in quanto “è il bando stesso a consentire la riduzione del personale sulla base dell’applicazione di nuovi processi tecnologici e nuove modalità organizzative”, il che legittima “la sostituzione dei lavoratori ad alta specializzazione”. Tutto ciò tenendo conto che nel bando è previsto “l’affidamento a terzi dell’attività mediante subcontratto”, come ammesso dalla stessa Enel nelle risposte alle richieste di chiarimento. “I nostri lavoratori sono dei professionisti del settore – afferma Gino Capponi, presidente della Minosse Spa – Operai specializzati che percepiscono tredicesima, quattordicesima e premi produzione. A fronte di questa professionalità, in 10 anni non c’è mai stato un incidente ne’ un problema per Enel”.
IL CARBONE E IL TERRITORIO – Va detto che quella del carbone a Civitavecchia è una storia tormentata. La riconversione della centrale, avviata all’inizio degli anni 2000, è stata imposta definitivamente nel 2007 dal Governo Prodi e dall’allora ministro allo Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, fra le proteste dei cittadini e del movimenti No Coke: fu una delle prime battaglie di Beppe Grillo ai tempi del blog e dei meet-up. Nel 2008, l’allora sindaco di Civitavecchia, Gianni Moscherini, firmò con Enel un protocollo d’intesa in cui la società elettrica si impegnava a garantire finanziamenti e ricadute occupazionali sul territorio. Nell’ambito di quella politica, c’era anche la garanzia di lavoro per le maestranze locali. “È dalla fine dell’800 – ricorda Enrico Luciani, presidente della Compagnia Portuale di Civitavecchia – che i portuali civitavecchiesi lavorano al servizio non della città o del territorio, ma del Paese. Abbiamo lottato contro la centrale a carbone, abbiamo perso e ora le nostre famiglie rischiano anche di perdere il lavoro. E questo non va bene”.
LO SCIOPERO – Si prevedono giorni caldi, dunque. I camalli civitavecchiesi potrebbero ricevere la solidarietà, come accaduto in passato, dei loro colleghi livornesi, genovesi e napoletani. L’Autorità Portuale, guidata da Francesco Maria Di Majo, sta cercando di recitare un ruolo di mediazione ed entro la giornata di giovedì dovrebbe convocare un incontro fra le parti, mentre l’Enel Produzione, contattata da ilfattoquotidiano.it, si è trincerata “per il momento” dietro il più classico dei “no comment”. Il rischio che il porto si fermi, però, è altissimo. “La situazione è molto delicata”, ammette Alessandro Borgioni, segretario sindacale Filt Cgil per l’area di Roma Nord Civitavecchia, che ha firmato la proclamazione di sciopero dai servizi in favore della centrale Enel. “Che possa esserci il rischio di estendere la protesta a tutto il porto? Dobbiamo rimanere nell’ambito della legge, ma ovviamente i lavoratori sono molto arrabbiati”, commenta Borgioni. I portuali di Civitavecchia hanno fama di non essere clienti facili per quelli che, da quelle parti, chiamano ancora “i padroni”.