La direttiva sarà votata il 5 luglio a mezzogiorno a Strasburgo e nel merito nessuno è compatto, da sinistra a destra. I 5 stelle propongono di far tornare il testo in commissione. Intanto da quasi due giorni protestano gli attivisti e contributori di Wikipedia
Una conta all’ultimo voto tra polemiche e accuse. Il Parlamento Ue si presenta completamente spaccato alla vigilia del votazione in plenaria sulla riforma del copyright. La direttiva in questione sarà votata il 5 luglio a mezzogiorno a Strasburgo e nel merito nessun gruppo politico, da sinistra a destra, è compatto sulle posizioni. Gli unici sicuri della linea sono i 5 stelle: sono loro ad aver proposto di far tornare il testo in commissione perché sia emendato e migliorato. Addirittura il vicepremier Luigi Di Maio nei giorni scorsi l’ha definita un “bavaglio per la rete” e si è detto pronto a non farla applicare in Italia, nel caso in cui fosse approvata. Sul punto la discussione è molto accesa. Intanto da quasi due giorni protestano gli attivisti e contributori di Wikipedia: in segno di polemica sono state oscurate le pagine di Italia, Spagna, Estonia e Lettonia.
La direttiva sotto accusa – Il documento che il Parlamento deve votare il 5 luglio affronta il delicato tema del diritto d’autore in rete. Come spiegato su ilfattoquotidiano.it dal docente e avvocato Guido Scorza, c’è molta confusione e tante sono le informazioni scorrette che sono state diffuse nelle ultime settimane (leggi qui il blog sulle cinque fake news da sfatare). Sono due le disposizioni della discordia contenute nella direttiva: “L’articolo 11 stabilisce che la pubblicazione di un cosiddetto snippet – un link con una manciata di caratteri di anteprima – di un articolo di un giornale online rappresenta una forma di utilizzo dei diritti d’autore con la conseguenza che necessita di un’autorizzazione e del pagamento di un compenso all’editore”. In gergo giornalistico è stata definita link tax, ma il termine è sbagliato: si tratta piuttosto di un equo compenso da fornire all’autore. Mentre la seconda disposizione contestata si trova all’articolo 13: “Stabilisce che i cosiddetti intermediari della comunicazione, ovvero i soggetti che consentono la pubblicazione online di contenuti prodotti dai propri utenti hanno bisogno di una licenza per svolgere tale attività e devono, comunque, dotarsi di specifici filtri automatici capaci di identificare e bloccare la pubblicazione di ogni contenuto coperto da diritto d’autore in mancanza di un’adeguata licenza”.
Lo scontro in Parlamento – Al momento nessun gruppo politico, da sinistra a destra, è compatto sulle posizioni del sì o del no per procedere sulla riforma del copyright con Consiglio e Commissione Ue. Sarà quindi una conta all’ultimo voto, eurodeputato per eurodeputato, dall’esito completamente incerto ed aperto. A segnalarlo sono diversi osservatori e fonti alla vigilia della votazione in plenaria. L’assemblea dovrà decidere se dare o meno il mandato a negoziare con Consiglio e Commissione Ue la revisione delle norme che regolano il diritto d’autore.
Sia Verdi che Sinistra Gue, per il no, hanno comunque membri che voteranno a favore, il Ppe invece a favore avrà per esempio eurodeputati tedeschi che voteranno contro così come l’S&d, dove lo stesso Pd ha alcuni contrari come Daniele Viotti e la stragrande maggioranza dei 26 della delegazione a favore. Anche tra i liberali dell’Alde c’è disgregazione. Non c’è però unanimità granitica nemmeno nelle famiglie più a destra o euroscettiche come l’Efdd, tipicamente orientate al no come per quasi tutti i provvedimenti Ue al voto. Il M5s manterrà la sua linea contraria, nota da tempo.
“Questa campagna” in corso contro la riforma del copyright “potrebbe influenzare molti colleghi, e questo mi rattrista”, ha avvertito il relatore del provvedimento, il popolare tedesco Axel Voss, aggiungendo che “influenzare i legislatori europei diffondendo fake news potrebbe avere un effetto, ma vedremo che cosa succederà”. A puntare il dito contro la Ccia, l’associazione dell’industria informatica e delle comunicazioni, è la socialista francese Virginie Rozière, spiegando che si tratta della “lobby americana delle grandi piattaforme e dell’industria hi-tech che sta dietro” alla campagna in corso dove “sorprende che i supposti campioni della trasparenza e della correttezza utilizzino mezzi opachi per tentare di influenzare persone ed europarlamentari”.
Confindustria Digitale per il no, Cgil per il sì – “La proposta di direttiva sul copyright desta profonda preoccupazione in tutta la filiera, per la mancanza di una seria valutazione sugli impatti ed effetti, anche molto penalizzanti, che le nuove norme potranno avere sui tanti e diversi soggetti che compongono l’ecosistema digitale”, afferma Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale. “Per questo – continua – ho inviato la richiesta ai parlamentari italiani a Strasburgo di farsi promotori in aula di un ampio e approfondito esame del testo prima di dare il via all’ulteriore iter procedurale”. Se le imprese digitali sono contrarie, la Cgil auspica invece “un voto favorevole del Parlamento Europeo sulla proposta di direttiva, volta a colmare il ‘Value Gap’ tra autori e artisti e chi vuol continuare a fare ingenti profitti svalutando il loro lavoro”. “La dirompente innovazione tecnologica in atto in questi anni – si legge in una nota – sta producendo un vero e proprio cambio di paradigma nel mercato del lavoro, e se non opportunamente governata rischia di bruciare in poco tempo professionalità e occupazione, favorendo una polarizzazione tra chi ha accesso ad un’alta formazione e chi no”.
Tra i favorevoli c’è anche l’associazione europea che raccoglie i musicisti indipendenti, Impala, ovviamente favorevole a una maggiore tutela del diritto d’autore: “Se sei nel business del fornire accesso alla musica, hai bisogno di una licenza da parte delle persone che la hanno creata, e devi condividere i ricavi in modo corretto”, è la loro posizione. “Abbiamo bisogno di un Internet che sia equo e sostenibile per tutti”, si legge anche nell’appello sottoscritto da 150 rappresentanti dell’industria creativa e culturale europea, dalle associazioni di autori, giornalisti e musicisti sino a editori, produttori cinematografici e tv dei 28 Paesi, tra cui per l’Italia anche Anica, Siae, Pim e un’altra Confindustria, Radio Televisioni, a testimoniare quanto caotico è il dibattito.