Secondo la Dda Demetrio Lo Giudice evitò la morte coprendosi con il corpo dell’amante. La squadra Mobile di Reggio Calabria ha risolto il caso dell’agguato consumato a Gallico, nella periferia nord della città, lo scorso 16 marzo. In stato di fermo anche altre tre persone
Demetrio Lo Giudice ha utilizzato l’amante Fortunata Fortugno come scudo. La squadra Mobile di Reggio Calabria ha risolto il caso dell’agguato consumato a Gallico, nella periferia nord della città, lo scorso 16 marzo. È stato un attentato di ‘ndrangheta ma l’obiettivo, il boss conosciuto con il soprannome “Mimmo u ‘boi” era riuscito a salvarsi mentre a bordo della sua auto si era appartato con la sua amante, vittima innocente, vicino al torrente Gallico.
Stando alla ricostruzione della Dda, il killer ha approfittatodel fatto che la zona fosse isolata per portare a termine l’agguato. Grazie alle registrazioni delle telecamere, gli uomini del questore Raffaele Grassi e del capo della mobile Francesco Rattà sono riusciti a risalire a un’Audi A3 utilizzata quella sera dai sicari. A sparare, secondo l’accusa, è stato Paolo Chindemi, figlio di Pasquale Chindemi ucciso poche settimane prima sempre a Gallico. Alla vista del killer, Demetrio Lo Giudice (ritenuto vicino alla cosca Tegano) si è coperto con il corpo della donna ma è stato comunque raggiunto da un colpo di pistola al braccio. Questo però non gli ha impedito di mettere in moto l’auto e scappare. Prima ha sbagliato strada, rischiando di incrociare nuovamente l’Audi di Paolo Chindemi, e poi ha raggiunto l’ospedale dove però Fortunata Fortugno è morta. In stato di fermo anche altre tre persone.
Il fatto di sangue si innesta nelle tensioni che da oltre un anno gli investigatori stanno registrato nel quartiere dove pare sia saltato ogni schema e dove l’ambiente criminale sta vivendo un momento di frizione tra i vari gruppi che cercano di “prendersi” il territorio a colpi di fucile e con numerosi danneggiamenti consumati ai danni degli esercizi commerciali.
Un territorio che, secondo gli inquirenti che in questi mesi hanno condotto le indagini, è controllato “militarmente” dalla ‘ndrangheta e dalle nuove e vecchie leve che vogliono ridiscutere gli assetti mafiosi. Paolo Chindemi era uno di questi ed è stato raggiunto stamattina dal provvedimento di fermo firmato dal procuratore Giovanni Bombardieri, dall’aggiunto Gaetano Paci e dal sostituto della Dda Walter Ignazitto. Assieme al figlio di Pasquale Chindemi, ucciso a colpi di pistola vicino la sua abitazione, con l’accusa di associazione mafiosa, nell’operazione “De Bello Gallico” sono finiti in carcere lo zio Mario Chindemi (50 anni), Santo Pellegrino (32) e Ettore Corrado Bilardi, di 66 anni, conosciuto con il soprannome di “Pietro”.
Già latitante due volte, quest’ultimo ha un casellario giudiziario di tutto rispetto ma, soprattutto, è il genero del boss Domenico Tripodo, il famoso “don Mico” ucciso negli anni settanta, nella prima guerra di mafia, all’interno del carcere di Poggioreale a Napoli.“Bilardi Ettore Corrado – è il profilo tracciato dagli inquirenti – ha sempre saputo con estrema semplicità, introdursi negli ambienti malavitosi, avviando la sua carriera criminale dapprima al servizio dell’autorevole cosca Tripodo (quella poi emigrata a Fondi e capeggiata dal boss Venanzio Tripodo, ndr), mentre dopo in altre, altrettanto potenti e radicate, operanti nell’area nord di Reggio Calabria”.
Ettore Bilardi, inoltre, vanta anche alcune parentele politiche. Oltre a essere cugino acquisito di un ex assessore comunale di Reggio Calabria, è lo zio dell’ex senatore Giovanni Bilardi del Nuovo centro destra (totalmente estraneo all’indagine)
Ritornando all’inchiesta di oggi, Grazie alle intercettazioni ambientali, gli uomini della Mobile hanno dimostrato che lo scopo fondamentale del sodalizio era quello di affermare a Gallico la propria leadership criminale conquistando spazi sempre più ampi con l’uso delle armi nelle azioni volte ad assumere il controllo delle attività estorsive in danno di imprenditori e commercianti del luogo e ad eliminare esponenti delle fazioni contrapposte. Il 22 maggio scorso, infatti, alcuni degli arrestati avrebbero esploso alcuni colpi di fucile contro le serrande di due garage di un condominio di cinque piani. I fermati erano pronti a commettere altri omicidi. Nel corso della conferenza stampa, infatti, il procuratore e gli investigatori della Mobile hanno spiegato che il gruppo criminale stava progettando azioni di fuoco che potrebbero fare aumentare le possibilità che le frizioni tra cosche possano trasformarsi in una vera e propria faida. Di certo c’è che il 19 giugno, durante una perlustrazione notturna, in un luogo utilizzato dagli indagati come base logistica gli agenti della sezione omicidi hanno trovato una pistola semiautomatica e un revolver calibro 38. Ma anche un giubbotto antiproiettile, quattro casacche riportanti il simbolo della Dia, tre passamontagna e una batteria collegata con nastro isolante a un ricevitore che probabilmente poteva servire per una bomba. Tutto fa pensare che, almeno il gruppo finito oggi nell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia, si sentiva in guerra.
Le tensioni a Gallico sono iniziate diversi anni fa, nel 2010, con l’operazione “Meta” quando, nel giro di un anno, sono stati uccisi prima il boss Domenico Chirico e poi Giuseppe Canale.