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Mondiali 2018 / Matrioska – Per fortuna che Pardo c’è. Tra Stalin e D’Annunzio, la sua epica del racconto scaccia il pisolino

Le sciabolate di Sandro Piccinini sembrano oramai qualcosa di vetusto. Massimo Callegari, poi, sembra il Barisoni di Radio24 quando elenca l’andamento del “futsi mib”. Fabrizio Ferrero, infine, ogni tanto scompare, e la sua voce proprio non si sente anche per venti secondi. Pardo, invece, c’è. C’è sempre.
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Da Mosca a Kaliningrad, il torneo russo visto dall’Italia che resta a casa. Tante storie nella storia: paradossi, tele-visioni, stranezze e cinismi assortiti. Perché chi non c’è ha sempre torto, ma può divertirsi lo stesso senza prendersi troppo sul serio.

Per fortuna che Pardo c’è. A Mediaset, a casa Berlusconi, volendo i jingle si possono anche scambiare. Pierluigi Pardo, 44 anni dal quartiere Trieste di Roma, è un gran telecronista. E a Russia 2018 fa la differenza. Le sciabolate di Sandro Piccinini sembrano oramai qualcosa di vetusto. Scimitarre persiane che ricordano i potentissimi tiri del fragile Van Basten più che le diagonali dell’altrettanto fragile Cavani. Massimo Callegari, poi, sembra il Barisoni di Radio24 quando elenca l’andamento del “futsi mib”. Fabrizio Ferrero, infine, ogni tanto scompare, e la sua voce proprio non si sente anche per venti secondi.

Pardo, invece, c’è. C’è sempre. Sovrabbonda. Occupa ogni angolo udibile di telecronaca. La scuola non è proprio quella dei telecronisti di ciclismo colombiani, ma quella più robusta e pastosa di casa Sky. Più Fabio Caressa che Stefano Bizzotto, Pardo esagera nell’epica del racconto. Carica l’effetto universale dal calcio. È tutta un’emozione infinita. Una sciocchezzuola ridicola che diventa una questione di cuore serissima.

Poi Pardo ne sa sempre una più del diavolo. Come Auro Bulbarelli che si dilettava nel raccontare ogni dettaglio del paesino di turno traguardo del Giro d’Italia, il nostro ha una spiccata necessità di intervallare le attese dei falli laterali e della melina a centrocampo con particolari storici da spavento. L’altra sera mentre commentava Russia-Spagna, complice un pallone in tribuna, abbiamo scoperto che nel 1936 Stalin dovette sorbirsi una partita di calcio nella piazza Rossa di Mosca per farsi digerire il giuoco del calcio. Alla fine nessuno morì fucilato all’istante.

Ma Pardo come sempre c’è. Puntuale. Preciso. Ecumenico. Mentre commentava Inghilterra-Colombia eccolo al doppio, triplo svolazzo sociologico. Per segnalare le origini popolari del difensore inglese Harry Maguire che proviene da Sheffield cita “Full Monty” e la “terra d’acciaierie”. Ma anche per i poveri colombiani non manca l’affondo sociourbanistico: “A Bogotà sono le 14.30 e nei quartieri periferici ci sono nuove forme culturali di crescita”.

Pardo sa che la stanca dello spettatore, il pisolino che si schiaccia senza accorgersene, è una brutta bestia per rete e sponsor. Così inizia la giaculatoria su folklore, politica e costumi. Vede Medvedev e Filippo VI di Spagna in tribuna a tifare e via con “Tutti a soffrire gente del popolo e capi di stato”. Poi il turno capolavoro de La Pioggia nel Pineto di D’Annunzio riattualizzata al contemporaneo: “Piove su le tamerici salmastre ed arse, sui capi di stato e re, sul gioco più bello del mondo”. Nemmeno la spalla tenera e monocorde di Aldo Serena, uno a cui Galliani presidente di Lega tolse l’accredito in tribuna perché si era lamentato in tv dell’arbitro Trentalange, riuscirebbe anche solo a scalfirgli una briciola di palco, microfono e attenzione. A me le orecchie please. Pardo dà quella vitalità, quell’estro, quella sveltezza che sa tanto di colorita telecronaca inglese. Nemmeno avessimo craccato i mondiali da Atdhe.ue. Da ventiquattro angolazioni diverse.

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