Fare chiarezza sulla Trattativa Stato-mafia, con l’obiettivo di sciogliere i nodi di una stagione politica, quella del passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica, su cui si è scritto tutto e il contrario di tutto. Come bussola, sempre presente, il filo che lega i rapporti tra le istituzioni e la criminalità organizzato e che è emerso da sentenze definitive in Cassazione. Venticinque anni di indagini e processi, che hanno col tempo modificato la “verità storica” dei fatti, che sono finiti nel saggio Commedianti. Andreotti, Berlusconi e la mafia, scritto da Giampaolo Grassi, giornalista dell’Ansa, edito da Epoké editore, e che alle 19 verrà presentato a Milano al caffè e ristorante L’Opposto, insieme al giudice del Tribunale, Giuseppe Gennari, all’avvocato Achille Saletti, presidente dell’Associazione Saman, e alla giornalista Francesca Brunati.
Il libro parte dai verdetti dei giudici a carico del politico-simbolo della Prima Repubblica, e cioè Giulio Andreotti, per poi passare da quelli a carico di Marcello Dell’Utri, braccio destro dell’altro poltico-simbolo, questa volta della Seconda Repubblica, ovvero Silvio Berlusconi, fino alla sentenza dello scorso 20 aprile del Tribunale di Palermo, quella sulla Trattativa Stato-mafia. A guidare la ricostruzione di Grassi, oltre alle migliaia di pagine delle carte giudiziarie prodotte dai giudici, anche le memorie e le requisitorie dei pm. “Sui rapporti fra Stato e mafia – si legge nell’introduzione – è stato detto e scritto tutto e il contrario di tutto. E allora forse è utile riannodare un po’ le fila del discorso. Per orientarsi meglio in questo ginepraio si possono usare i punti cardinali individuati dalla magistratura”. Con, però, una doverosa premessa: “Anche i giudici prendono le cantonate, anche nelle sentenze ci sono scritte delle sciocchezze e spesso i verdetti di oggi contraddicono quelli di ieri. Però il risultato di un procedimento giudiziario resta il punto finale di un lavoro a tutto tondo: i tribunali e le corti decidono dopo aver assistito al confronto fra l’accusa e la difesa, avendo dunque a disposizione tutte le carte distribuite durante la partita”. Una rilettura delle sentenze, dunque, che fornisce chiavi di lettura per interpretare uno dei passaggi più importanti, e attuali, della storia della Repubblica italiana.
Ma perché commedianti? Perché c’è l’ipotesi, presente nelle senteze d’appello su Andreotti e Dell’Utri, “che tra i vertici di Cosa nostra e quelli istituzionali ci sia stata un’intesa continua, ma che spesso abbia assunto la forma del gioco delle parti. Cioè, che i mafiosi abbiano millantato coi politici e che i politici lo abbiano fatto coi mafiosi. Che gli uni abbiano fatto agli altri promesse che non intendevano o non potevano mantenere, e viceversa”.