È legittimo il divieto alle toghe di partecipare alla vita politica. Lo ha stabilito la Corte costituzionale pronunciandosi sul caso di Michele Emiliano, il governatore della Puglia – che prima di entrare in politica faceva il pm – finito sotto processo disciplinare davanti al Csm proprio per essere stato in passato segretario e presidente del Pd pugliese. La Consulta ha giudicato “non fondate” le questioni di legittimità costituzionale riguardanti l’illecito disciplinare che vieta ai magistrati di iscriversi o partecipare in modo “sistematico e continuativo” alle attività dei partiti politici.

La procura generale della Cassazione aveva chiesto per Emiliano la condanna all’ammonimento, la sanzione più lieve, ma il processo era stato sospeso in attesa della decisione della Consulta, alla quale si era appellata la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura che aveva sollevato le questioni di costituzionalità del decreto legislativo n.109 del 2006, di riforma del sistema disciplinare dei magistrati, nella parte in cui stabilisce il divieto anche per quei magistrati che, come Emiliano, sono fuori ruolo, cioè in aspettativa per ragioni elettorali.

La disposizione sarebbe illegittima, secondo la Sezione disciplinare del Csm, per contrasto con gli articoli 2, 3, 18, 49 e 98 della Costituzione. Ciò perché determinerebbe una “irragionevole restrizione della libertà di associazione e di partecipazione al sistema democratico per i magistrati collocati fuori dal ruolo organico – e che quindi non esercitano funzioni giudiziarie – per espletare mandati elettivi, quale quello di sindaco o di presidente della Regione”. È appunto il caso di Emiliano che da 12 anni è in aspettativa, perché eletto prima sindaco di Bari e poi governatore della Puglia. Si tratta di cariche che non possono essere svolte, secondo Palazzo dei Marescialli, “senza disporre di una maggioranza politica organizzata” e che dunque comportano la partecipazione attiva alla vita politica e quindi all’attività di partito.

La Consulta ha però ritenuto “non fondate” le censure. La motivazione della decisione sarà depositata nelle prossime settimane. “Dal comunicato diffuso dall’Ufficio stampa” della Corte Costituzionale “non è possibile dedurre contenuti e conseguenze processuali e sostanziali della sentenza, se da intendersi o meno come applicabile in senso lineare a tutti i magistrati collocati fuori ruolo per lo svolgimento di un mandato elettivo”, scrive in una nota il collegio legale che rappresentava Emiliano davanti alla Consulta.

Solo pochi giorni fa, al plenum del Csm in seduta straordinaria sul tema dei rapporti di collaborazione con il Guardasigilli, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede aveva annunciato che la maggioranza di governo intende “impedire, per legge, che un magistrato che abbia svolto incarichi politici elettivi possa tornare a svolgere il ruolo di magistrato requirente o giudicante”, questo perché “garantisce un maggiore consolidamento dei principi di autonomia, imparzialità e terzietà della magistratura“. “Un magistrato ha un bagaglio di esperienza e competenza molto importante che può decidere, dedicandosi alla politica, di mettere al servizio della collettività“, aveva osservato Bonafede. Aggiungendo però che “l’assunzione di un ruolo politico compromette irrimediabilmente la sua immagine di giudice terzo”.

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