In questi giorni si è parlato molto della direttiva copyright e delle iniziative a sostegno o contro l’adozione del testo da parte del Parlamento europeo. Cosa succederà all’assemblea di oggi e come si comporteranno in seguito gli Stati?
Oggi, 5 luglio, tecnicamente si vota sull’avvio dei negoziati del cosiddetto “trilogo”, ovvero sulle discussioni che il Parlamento avrà con il Consiglio dell’Unione europea di cui fanno parte i singoli Stati. Il mandato si baserà sul testo approvato dalla Commissione Juri del Parlamento europeo il 20 giugno, quello contestato dai gruppi del Gue (la sinistra europea, ndr) con il parlamentare della Repubblica Ceca, Jiří Maštálka, dal Movimento 5 stelle con la Shadow rapporteur del gruppo EFDD, Isabella Adinolfi, e da una parte del gruppo dei Verdi, capeggiati dalla parlamentare Julia Reda, col sostegno di M5s.
Il testo è quello per intendersi che contiene gli articoli 3 sul data mining, l’articolo 11 sulla link tax e l’articolo 13 sui dispositivi tecnologici di controllo a carico delle piattaforme.
L’esclusione delle piattaforme come Wikipedia, oggetto di emendamenti presentati dal Movimento 5 stelle e dai Verdi, è effettivamente presente nel testo, ma in una formulazione che può dar luogo a interpretazioni contrastanti. I concetti di scopo commerciale e di lucro – che escludono gli obblighi di filtraggio e di corresponsione economica – non sono perfettamente individuabili nel mondo della rete. Al contempo nel testo finale sono stati inclusi altri elementi di tutela a beneficio dei titolari del diritto d’autore, quali le immagini, con conseguenze facilmente immaginabili ad esempio sulla circolazione delle Google Images.
Il gruppo dei Verdi al Parlamento europeo ha chiesto il voto palese per responsabilizzare i singoli deputati. L’iniziativa però potrebbe rivelarsi un boomerang perché i singoli gruppi potrebbero chiedere ai parlamentari l’obbedienza su una posizione comune ed ottenere così l’effetto opposto a quello che si voleva avere.
Nonostante i contrasti all’interno dei gruppi – soprattutto in quello dei socialisti, divisi tra il blocco italiano del Partito democratico in maggior parte a favore e quello contrario di altri Paesi – il voto negativo all’apertura del trilogo appare oggettivamente difficile. In passato è successo pochissime occasioni. Se il Parlamento vota a favore si partirà con il negoziato con gli Stati, ma appare oggettivamente difficile che le proposte, anche se modificate, non passino. A quel punto sarà una corsa contro il tempo: i fautori del copyright devono, infatti, riuscire a chiudere l’accordo e a far varare la direttiva prima delle elezioni del nuovo Parlamento europeo che si svolgeranno a metà 2019.
La Commissione europea, invece, non ha alcun ruolo a questo punto della procedura, limitandosi a svolgere il ruolo di “onest broker”, ovvero di “onesto sensale”.
Cosa farà l’Italia? Il nostro Paese, stando alle dichiarazioni del vicepresidente Luigi Di Maio, sembra voler assumere una posizione opposta a quella dei governi che lo hanno preceduto, che avevano una linea di rigida osservanza della tutela del copyright a discapito delle discussioni e dei temi relativi alla libertà di espressione. Il ministro ha parlato di un possibile mancato recepimento della direttiva se approvata che, però, appare difficilmente praticabile perché la Commissione europea aprirebbe una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia.
Ma l’Italia può far molto nell’ambito del Consiglio dell’Ue, e tutto dipenderà da Di Maio e dalla sua bravura. Il nostro Paese ha un peso determinante nelle scelte del Consiglio e può guidare una minoranza all’interno dell’organo coinvolgendo altri Paesi, facendo ostruzionismo all’approvazione della direttiva o pretendendo, in accordo con partner poco convinti, una radicale modifica delle disposizioni della direttiva.
Il ministro Di Maio dovrà insomma battere i pugni sul tavolo usando il bastone e la carota. Occorrerà mettere in mostra doti di negoziazione e di leadership per raggiungere un traguardo così ambizioso. Nel frattempo, poi, potrebbero arrivare le elezioni europee e una diversa ripartizione di seggi all’interno del Parlamento: tutto a quel punto verrebbe rimesso in discussione.