Ha avuto grande riscontro sulla stampa e ha suscitato molto clamore la recente pubblicazione di uno studio condotto in Francia che ha valutato su cavie l’azione di un cocktail di sei pesticidi comunemente presenti nella dieta, in particolare nelle mele come di recente documentato dalla stessa Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa). Le sostanze erano presenti nel cibo somministrato agli animali e ciascuna di esse a una dose considerata non tossica e quindi assolutamente tollerabile. Il cocktail conteneva sia insetticidi (thiacloprid, chlorpyrifos) che fungicidi (boscalid, captan, thiofanate, ziram) ampiamente usati anche in Italia e puntualmente presenti nelle nostre falde acquifere. Le cavie che hanno ricevuto le piccole e ripetute dosi quotidiane di pesticidi (in modo quindi del tutto sovrapponibile a quella che è l’esposizione umana) hanno presentato, rispetto al gruppo di controllo alimentato con il medesimo mangime ma senza residui di pesticidi, profonde alterazioni metaboliche, in particolare steatosi epatica, tendenza all’obesità, intolleranza al glucosio con effetto diabetogeno, alterazione del microbiota intestinale.

Si tratta di una ricerca certamente importante specie perché mette in evidenza l’inadeguatezza delle valutazioni tossicologiche che (oltre a molte altre manchevolezze) prendono in esame il singolo pesticida e trascurano l’effetto “cocktail”, ovvero l’azione spesso sinergica delle diverse sostanze contemporaneamente presenti. Tuttavia non si tratta certo di una novità visto che da decenni una parte della comunità scientifica denuncia il pericolo rappresentato da sostanze che alterano l’equilibrio ormonale, compreso quello metabolico e che sono note come “interferenti endocrini”.

Il termine “interferente endocrino” è stato introdotto per la prima volta nel 1991 e con esso si intendono tutte le sostanze che interferiscono con la sintesi, la secrezione, il trasporto, l’azione, il metabolismo o l’eliminazione degli ormoni. Si tratta di diverse migliaia di sostanze di natura chimica anche molto diversa fra loro, da metalli pesanti come cadmio e arsenico al bisfenolo A, dal Ddt alle diossine, ai pesticidi etc. e, al pari degli ormoni, agiscono a dosi estremamente basse, per cui il detto di Paracelso “la dose fa il veleno” in questo caso non vale. Gli effetti negativi per la salute che ne conseguono sono molteplici: alterazione della fertilità, malformazioni, deficit riproduttivi, malattie della tiroide, alterazioni metaboliche, immunitarie, disturbi neuro-comportamentali e tumori. La peculiarità degli interferenti endocrini è però quella di poter agire anche sulle cellule germinali e indurre quindi alterazioni che si trasmettono alle generazioni successive e credo che a nessuno sfugga la gravità di questa possibilità.

A parte gli studi sperimentali sugli animali esistono già da decenni moltissimi studi epidemiologici che su popolazioni esposte hanno dimostrato l’esistenza di una correlazione fra alterazione dell’assetto lipidico, più elevati livelli di colesterolo e trigliceridi e presenza di contaminanti, quali policlorobifenili e pesticidi, nel sangue e di aumento di rischio di diabete per gli agricoltori e le loro mogli.

Spero ardentemente che il clamore suscitato dall’indagine francese non si affievolisca e che su questi temi ci sia sempre più attenzione non solo da parte dei cittadini ma anche delle istituzioni. Rendere fruibile un’informazione scientifica rigorosa e “traghettare” le conoscenze alle comunità e ai decisori politici è un obiettivo prioritario dell’Isde cui nessuno di noi si sottrae, è quindi con molto piacere che comunico che la “neonata” sezione Isde di Lecce già per il prossimo 9 luglio ha organizzato su questi temi un importante convegno dal titolo Xylella, pesticidi, rischi sanitari. L’informazione è il primo, indispensabile strumento per difendere la nostra salute e quella dei nostri cari.

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