La richiesta del ministro dell'Interno di rivedere i criteri della protezione umanitaria ha come obiettivo quello di concederne meno, con la conseguenza inevitabile di avere però più "clandestini". Inoltre, unita all'altra richiesta di esami più rapidi, porterebbe ad avere più richiedenti asilo, il contrario di quello che vorrebbe il titolare del Viminale
Dopo le dichiarazioni del 21 giugno, Matteo Salvini è passato ai fatti. Con una circolare interna, il 4 luglio il ministro dell’Interno ha ordinato alle Commissioni territoriali, gli organismi ministeriali preposti alla valutazione delle richieste di asilo, di rivedere i criteri con i quali concedono la protezione umanitaria, ossia un permesso di soggiorno valido due anni e rinnovabile, concesso per “seri motivi, in particolare di carattere umanitario”. È convertibile in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. E forse qui sta uno dei motivi per cui, almeno dallo scorso anno, è nel mirino della Lega.
Secondo quanto dice la circolare, infatti, questo strumento ha di fatto “legittimato la presenza sul territorio nazionale di richiedenti asilo non aventi i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale il cui numero, nel tempo, si è sempre più ampliato, anche per effetto di una copiosa giurisprudenza che ha orientato l’attività valutativa delle Commissioni”. In breve: è stato concesso con troppa facilità. L’obiettivo del testo diramato da Salvini è quello di concederne meno, il che si tradurrà inevitabilmente in più irregolari.
Quanti sono i permessi per motivi umanitari – Negli ultimi cinque anni il 7% dei richiedenti asilo ha ottenuto uno status di rifugiato, mentre il 25-28% ha ottenuto un permesso di soggiorno attraverso la protezione umanitaria. Il risultato finale è che in media il 48% di chi fa domanda per restare in Italia ottiene i documenti per rimanere legalmente almeno due anni.
Fare ricorso a un diniego costa in media intorno ai 900 euro. I dati del 2016 della Commissione nazionale per il diritto di asilo dimostravano che nel 70% dei casi nella fase del ricorso si otteneva una protezione umanitaria. Con il decreto Minniti, che toglie il secondo grado di giudizio per i ricorsi, il tasso è sceso, ma resta superiore al 50%. Costringere le Commissioni a spingere sull’acceleratore, per altro, è facile che produca anche un aumento dei ricorsi contro i dinieghi, annullando così l’effetto che vorrebbe il ministro di meno richiedenti asilo.
Ci sono troppe domande inevase? – La circolare ministeriale argomenta il giro di vite sui permessi umanitari prima di tutto citando il numero di domande d’asilo ancora da valutare: sono 130mila, dice il Viminale. Nell’ultimo anno – dice il documento – ci sono state 136mila nuove richieste, polemizzando con il fatto che il numero è “di gran lunga superiore” rispetto ai 119mila sbarchi. Il testo però non spiega che capita con una certa frequenza che la domanda non venga depositata immediatamente da una persona sbarcata in Italia, ma solo dopo un po’ di tempo passato in Italia e che il diritto di chiedere asilo vale in ogni momento, non solo a seguito dello sbarco.
L’altro elemento non citato nella circolare del Viminale è il fatto che in realtà il numero di domande d’asilo da evadere sta nettamente diminuendo. Non siamo più in una fase emergenziale perché nei primi tre mesi del 2018 le nuove richieste si sono dimezzate rispetto al confronto con i dodici mesi precedenti. In più, negli ultimi tre anni le domande d’asilo sono state analizzate a ritmo di 71.117 nel 2015, 91.102 nel 2016 e 81.527 nel 2017. A questo va aggiunto che – come scrive lo stesso Viminale – a seguito del Decreto Minniti-Orlando sono stati formati nuovi 250 funzionari amministrativi che entreranno in organico dal 9 luglio, proprio allo scopo di decidere più velocemente sulle richieste d’asilo, pur senza giri di vite sui permessi umanitari.
Cosa succede con più irregolari – Secondo le stime dell’Ismu – Fondazione Iniziative Studi sulla Multietnicità, i dati al 2017 indicano in Italia 5,9 milioni di cittadini stranieri, di cui l’8% circa irregolari. In numeri assoluti, significa circa 491mila persone, ovvero una crescita di 56mila unità dall’anno precedente. In sostanza, dal 2002 ad oggi gli irregolari sono sempre rimasti intorno ai 500mila. La forte riduzione dei “clandestini” è cominciata con la “grande sanatoria” prima della Legge Bossi-Fini. All’epoca, infatti, prima di inasprire le leggi contro i potenziali migranti bisognava fare in modo di ridurre l’irregolarità: a metà anni Novanta quasi un immigrato su due non aveva un regolare permesso di soggiorno. Questa volta, invece, non c’è alcuna regolarizzazione in vista.
Il problema sanitario – Il 31 ottobre 2017 l’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà (Inmp) pubblicava il rapporto Lo stato di salute della popolazione immigrata in Italia: evidenze dalle indagini multiscopo Istat. L’elemento più critico del rapporto emergeva proprio sulla scarsità dei dati rispetto agli irregolari, di cui non si sa nulla. Al momento dello sbarco, infatti, “prevalgono le condizioni acute” – si legge nel rapporto – ma “a media e lunga distanza (a oltre un anno dall’arrivo) si manifestano situazioni latenti o si sviluppano nuove malattie quale effetto dei determinanti socioeconomici e della mancata integrazione”. Una società con più irregolari e meno stranieri integrati ha delle condizioni di salute peggiori, secondo il rapporto, nonostante il sistema sanitario nazionale preveda l’attribuzione di un codice STP (straniero temporaneamente presente) per cure urgenti o comunque essenziali.
Il nodo dei rimpatri – Durante la parate del 2 giugno, Salvini ha detto: “Voglio migliorare gli accordi con i Paesi da cui arrivano migliaia di disperati per il bene nostro e loro!”. Lo stesso giorno coniava la formula “è finita la pacchia”. Il tema, in realtà, ancora non è risolto. Salvini ha annunciato incontri in Tunisia ed Egitto, che però sono due dei Paesi in cui gli accordi bilaterali necessari per organizzare i rimpatri già esistono. E sono solo otto, al momento, i Paesi che hanno sottoscritto questi accordi con l’Italia. Scoperta totalmente resta invece l’area dell’Africa Subsahariana, ad esempio. Così come problematici sono anche i voli di rimpatrio verso la Nigeria, uno dei principali Paesi di origine dei migranti che arrivano dal Mediterraneo.
La vecchia polemica con l’Europa – Il paradosso di questo giro di vite sul permesso di soggiorno umanitario è che era stato proprio richiesto dall’Europa. Torniamo indietro all’aprile 2011, al confine tra la Francia e Ventimiglia. Era l’inizio dell’Emergenza Nord Africa, provocata dalle Primavere arabe. Al governo c’era Silvio Berlusconi che decise di concedere un permesso straordinario di sei mesi a 11mila tunisini che volevano lasciare l’Italia. Un incidente diplomatico: la Francia chiuse i confini, impedì ai treni di raggiungere l’Italia, portò la polemica a Bruxelles, accusando l’Italia di concedere così un titolo di viaggio valido per oltrepassare i confini. Ne sono stati concessi troppi? Anche qui i numeri dicono un’altra storia: Eurostat ha certificato che nel 2016 l’Italia ha fornito 3,7 permessi di soggiorno ogni mille abitanti. La media europea, però, era 6,5.