"Vogliamo conoscere meglio le persone. Test anonimo" dicono dall'azienda. Contrari i Cobas: "Violenza aberrante". Il fatto.it ha contattato una lavoratrice: "Le domande arrivano in mail specifiche".
Burberry invia ai propri dipendenti un questionario chiedendo loro, tra le altre cose, di specificare la propria etnia e l’orientamento sessuale. Domande che lasciano senza parole i lavoratori, fanno infuriare i Cobas e sulle quali non sembra esserci alcun dietrofront, neppure dopo un incontro chiesto ad hoc con il nuovo responsabile Emea (Europa, Medioriente e Africa) per la Burberry, John Scaramuzza. “Ci hanno detto che l’azienda non farà alcun passo indietro e che le domande non verranno modificate” ha spiegato a ilfattoquotidiano.it, Francesco Iacovone, dell’esecutivo nazionale Cobas. Ma perché la casa di moda britannica ha inoltrato il questionario online? “Vogliamo conoscere meglio le persone” si legge nella mail inoltrata ai dipendenti, nella quale l’azienda sottolinea: “Burberry si impegna costantemente a promuovere l’eguaglianza e la diversità per rendere l’ambiente di lavoro sempre più equo e queste domande ci aiuteranno a tale scopo”. Certo è che i dipendenti non l’hanno presa affatto bene e hanno percepito questa iniziativa come una intromissione nella loro vita privata. I Cobas lo definiscono “il questionario della vergogna”.
LE DOMANDE DEL QUESTIONARIO – Si chiede al lavoratore di specificare la propria etnia tra diverse opzioni che compaiono su un menù a tendina. “Le scelte che offre il menu sono aberranti – dice Iacovone – bisogna specificare se si è asiatico/isolano del Pacifico, nero o afroamericano, ispanico o latino, mediorientale, nativo americano o indiano d’America, bianco o altro ancora”. Altra domanda: “Si identifica come lesbica, gay, bisessuale, transgender o queer”? Chiedono anche se si è diversamente abile o se si hanno responsabilità di tipo assistenziale, per esempio, prendendosi cura “di un amico adulto, un bambino o un familiare”. “Riteniamo il questionario al di fuori della Costituzione di questa Repubblica e chiederemo con forza alla Burberry LTD di interrompere immediatamente la sua diffusione e la cancellazione di ogni traccia per i tanti che lo hanno già compilato” ha scritto Iacovone in una nota ufficiale, prima di incontrare il nuovo responsabile Emea. Incontro che non ha portato, evidentemente, i frutti sperati. “Hanno ribadito che il questionario non è obbligatorio – spiega il rappresentante dei Cobas – che è completamente anonimo, ma abbiamo molti dubbi in merito al discorso della privacy”.
UNA DIPENDENTE: “DUBBI SULL’ANONIMATO” – ilfattoquotidiano.it è riuscito a parlare con una delle dipendenti a cui è stato inoltrato, che non vuole rivelare la propria identità, ma manifesta i suoi dubbi sull’anonimato, visto che il sondaggio arriva “a un indirizzo di posta ben preciso”. “Venti i quesiti che ci sono stati posti – racconta – una prima parte attinenti all’attività lavorativa, altre alla vita privata. Prima di rispondere a queste ultime, a un certo punto si è aperta una pagina nella quale si chiedeva il consenso per divulgare quei dati”. Rispondere alle domande del questionario non è obbligatorio “ma senza le risposte relative anche alla seconda parte del sondaggio, il questionario non si chiude. Almeno questo è quello che è successo a me e so che l’azienda ha detto che avrebbe verificato questo aspetto tecnico”.
COBAS: “UNA VIOLENZA INACCETTABILE” – Di fatto sono stati molti i lavoratori che si sono rivolti ai sindacati. “In un momento già critico di questo Paese, indagare sulle origini etniche e gli orientamenti sessuali è un obbrobrio e una violenza inaccettabile” ha commentato Iacovone. “Noi siamo con i lavoratori – ha detto – e auspichiamo che le comunità LGBT e la società civile si schierino dalla parte di queste donne e questi uomini e ci sostengano in questa lotta”. Sulla vicenda, sentita da fanpage.it, è intervenuta anche Imma Battaglia, una delle leader storiche del movimento Lgbtq in Italia. “La strategia di Burberry di sottoporre un questionario senza accompagnarlo con un programma strutturato di inclusione risulta di fatto una schedatura – ha detto – per cui le rimostranze dei dipendenti sono assolutamente corrette e vanno sostenute. Le aziende che vogliono creare un clima di inclusione per i propri dipendenti devono investire in programmi strutturati presentati e condivisi con dipendenti e sindacati al fine di evitare incomprensioni”.