di Riccardo Cristiano*

Può essere che in questo tempo difficilissimo di negazioni e rigidità il pluralismo riparta da casa Santa Marta, cioè da lì dove vive Jorge Mario Bergoglio? E’ successo infatti che nei giorni trascorsi Papa Francesco abbia fatto promuovere un incontro e tenuto un discorso molto importanti. Dell’incontro diremo dopo, partiamo dal discorso relativo alla bioetica, cioè ai problemi morali ed etici sollevati da interventi ed esperimenti che coinvolgono la vita. Molti sono abituati a ridurre la bioetica ad una valutazione di ciò che riguarda il concepimento e la fase terminale della vita.

Francesco invece già nell’esordio del suo intervento davanti ai membri della Pontificia accademia per la vita ha chiarito che occorre prestare attenzione alla “qualità etica e spirituale della vita in tutte le sue fasi. Esiste una vita umana concepita, una vita in gestazione, una vita venuta alla luce, una vita bambina, una vita adolescente, una vita adulta, una vita invecchiata e consumata – ed esiste la vita eterna. Esiste una vita che è famiglia e comunità, una vita che è invocazione e speranza. Come anche esiste la vita umana fragile e malata, la vita ferita, offesa, avvilita, emarginata, scartata. È sempre vita umana. È la vita delle persone umane, che abitano la terra creata da Dio e condividono la casa comune a tutte le creature viventi.”

Per Francesco promuovere il bello della vita vuol dire generare, educare, iniziare all’amore familiare e quindi comunitario, curare. “Quando consegniamo i bambini alla privazione, i poveri alla fame, i perseguitati alla guerra, i vecchi all’abbandono, non facciamo noi stessi, invece, il lavoro “sporco” della morte?” Fare il lavoro sporco della morte vuol dire vivere ripiegati su se stessi, come Narciso, che ama se stesso e ignora gli altri. “Questa bioetica non si muoverà a partire dalla malattia e dalla morte per decidere il senso della vita e definire il valore della persona. Muoverà piuttosto dalla profonda convinzione dell’irrevocabile dignità della persona umana, così come Dio la ama, dignità di ogni persona, in ogni fase e condizione della sua esistenza, nella ricerca delle forme dell’amore e della cura che devono essere rivolte alla sua vulnerabilità e alla sua fragilità”.

Quindi è la difesa della vita alla base dell’ecologia integrale che Francesco invoca, nella convinzione che difendere i poveri sia difendere le fragilità del pianeta e del creato. Se l’uomo è creato lo è anche la natura, il mondo minerale, vegetale e animale, che non vanno dominati, ma curati, anche per il bene dell’uomo. Infatti “il nostro corpo ci pone in una relazione diretta con l’ambiente e con gli altri esseri viventi. L’accettazione del proprio corpo come dono di Dio è necessaria per accogliere e accettare il mondo intero come dono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul proprio corpo si trasforma in una logica a volte sottile di dominio sul creato. Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati è essenziale per una vera ecologia umana”.

Il discorso del Papa dunque riguarda difesa dell’ambiente e della persona, della relazione che li lega, e non isola più il discorso sulla difesa del feto o sul fine-vita dal resto. “La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto”. Il ragionamento del papa fa centro su un concetto chiarissimo: la prossimità umana responsabile è la sola che può garantire dignità. “La prospettiva di una globalizzazione che, lasciata solamente alla sua dinamica spontanea, tende ad accrescere e approfondire le diseguaglianze, sollecita una risposta etica a favore della giustizia.”

Questo discorso è stato pronunciato da Francesco pochi giorni prima che in Vaticano giungessero i rappresentanti dei popoli indigeni delle Americhe. Nei loro variopinti e tradizionali abbigliamenti sono entrati nella sede della Pontificia accademia per le Scienze sociali per discutere del valore della loro presenza e della loro cultura nel mondo amazzonico e non solo. Questo ci fa ricordare che sabato 7 luglio Francesco sarà a Bari con i patriarchi d’Oriente per pregare per la pace in Medio Oriente. Una preghiera che parla dei cristiani come di una finestra araba sul mondo. In tempi difficilissimi come questi, dove le ragioni dell’uno sembra incomprensibili all’altro, sembra quasi che il pluralismo sia ripartito da San Pietro.

*Vaticanista di Reset

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