Ormai sono un aficionado dei sondaggi Vtsiom, l’istituto demoscopico statale moscovita, che in questi giorni è davvero scatenato. Oggi ci rivela che il 56 per cento dei russi è sicuro di vedere la nazionale battere domani a Sochi la quotata Croazia e di schizzare dritta come un lanciatore Soyuz verso la semifinale dell’11 luglio, che si giocherà allo stadio Luzhniki di Mosca, ossia nel tempio calcistico del Mondiale targato Putin. Di più: addirittura il 14 per cento degli intervistati è convinto che la Sbornaya vincerà la Coppa del Mondo 2018. Un atto di fede incrollabile. Sempre più la Russia si scopre sospesa tra incredulità e sogni. Sempre più il Mondiale si rivela la posta giusta sulla quale aver puntato 14 miliardi di dollari. Il “ritorno” d’immagine e l’entusiasmo per il torneo compensa l’esborso eccessivo. Come ai tempi dell’Urss, il calcio rimane una formidabile arma diplomatica e di propaganda per il Cremlino.
Ma la vera notizia del giorno – escludendo i risultati di Francia-Uruguay e Belgio-Brasile – è che Rurik Gislason, il trentenne centrocampista della nazionale islandese e del club tedesco SV Sandhausen (seconda divisione) è stato “pizzicato” in un albergo di Miami assieme alla prosperosa Barbara Cordobay, un’avvenente modella e presentatrice argentina di Mendoza: “Mi ha detto che è stata la prima volta con una ragazza sudamericana”, ha commentato Barbara. Il numero 19 della nazionale islandese non ha conquistato (con la squadra) il passaggio agli ottavi, ma ha conquistato il titolo di giocatore più bello del torneo: baciato dagli dei norreni. E’ alto un metro e 84. E’ biondo, ha i capelli lunghi (da vichingo naturalmente: gli stereotipi si sprecano…): li sistema, quando gioca, con un seducente chignon. Ha la barba, ma non esagerata come quella esibita da certi calciatori hipster. E poi: occhi verdi, muscoli ben scolpiti. Immancabili i tatuaggi. Sulla spalla e sul braccio destro, non come il capitano Aron Gunnarson che si è fatto tatuare la fascia di capitano sulla schiena. Appena dopo aver bloccato Messi durante lo storico pareggio con l’Argentina, il fascinoso Rurik ha visto passare il numero dei suoi follower di Instagram da 30mila a un milione e 200mila. Ed è diventato un simbolo metrosexual per le riviste femminili che hanno pubblicato le sue foto, prese dal profilo Instagram. Rurik, il Thor del football. E dei dribbling nei pensieri proibiti.
Dal profano al sacro. L’attaccante francese Antoine Griezmann sfoggia pure lui vistosi tatuaggi. Ma i suoi raffigurano Gesù, sul braccio destro, ritratto sullo sfondo di una statua del Cristo Redentore. Non bastasse questo esempio di devozione pittorica corporale, ne ha aggiunti altri, sempre religiosamente ispirati: un suggestivo set di rosari raffigurati tra nuvole e stelle (dovrebbe giocare nella squadra del Vaticano, se non fosse che sarebbe costretto a farlo gratis…): “Nella mia famiglia siamo tutti religiosi, ecco perché ho questi tatuaggi”, ha detto, giustificando la sua fedeltà confessionale. Nella autobiografia “Derrière le sourire” (Dietro il sorriso) Griezmann rivela che si è “immerso nella religione fin dall’infanzia” e che “continuo ad accendere candele nelle chiese”.
Rivelo la fonte di queste indiscrezioni… divine. C’è un sito che si chiama ChurchPOP. Fa parte del gruppo americano Ewtn. Alla voce chi siamo si legge che è un brand “dedicato alla cultura cristiana presentata in modo divertente, informativo ed ispirato”. Quando il Mondiale è cominciato, ChurchPOP ha presentato 6 giocatori cattolici. Il polacco Jakub Blaszczykowski è un lettore accanito della Bibbia che consulta ogni giorno ed è stato anche “ambasciatore” della Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia nel 2016. Quand’era piccolo ha vissuto un trauma indicibile, la madre uccisa dal padre. Da allora è convinto “che sua madre, dal Cielo, si prenda cura di lui”. Il costaricano Keylor Navas è chiamato “il portiere di Dio” (gioca nel Real Madrid). Nei suoi account social spiega che vive il proprio mestiere “come una missione”. Prima di ogni partita prega il Signore affinché gli metta due angeli a protezione dei suoi pali. Il messicano Javier Hernandez pratica il cristianesimo evangelico. Pure lui si affida al buon dio del pallone, perché prega in ginocchio prima del fischio d’inizio. Il grande Andrès Iniesta ha promesso di andare in pellegrinaggio a Santiago de Compostela dopo la vittoria mondiale della “sua” Spagna nel 2010 (in realtà non è ben chiaro se poi abbia mantenuto la faticosa ed impegnativa promessa).
In questa lista di ferventi cattolici c’è anche Leo Messi il quale si era azzardato a dire che se avesse sollevato la Coppa sarebbe andato in pellegrinaggio al santuario della Madonna del Rosario di San Nicolas, a San Nicolàs de los Arroyos, nella provincia di Buenos Aires. Messi vanta il tifo personale di papa Francesco: due anni fa il pontefice ha dichiarato che la Pulce, e non Maradona, è il più grande calciatore di tutti i tempi. Ma non è servito granché…a proposito, circola una foto di Macron faccia a faccia col pontefice. La visita è avvenuta il 26 giugno, i due hanno avuto un lungo colloquio durato 50 minuti. Nello stesso giorno, la Francia pareggiava con la Danimarca, mentre la sera si disputava Nigeria-Argentina, vinta a fatica dall’Albiceleste con una magia di Rojo a quattro minuti dalla fine. Preludio dell’eliminazione agli ottavi.
L’immagine è sistemata come un fumetto, leggermente distopico. Si suppone cioè che i due si parlino nel giorno in cui l’Argentina perde. Perché Macron si rivolge a Sua Santità da tifoso che sfotte: “A France’, ma st’Argentina?”. Il Papa lo fulmina: “Allora è vero che sei stronzo come dicono”.