Sono stati diramati i nomi dei vincitori delle Targhe Tenco 2018, il più importante riconoscimento italiano per ciò che riguarda la canzone d’autore. Eccoli:
Disco in assoluto: Motta – “Vivere o morire”;
Opera prima: Giuseppe Anastasi –“Canzoni ravvicinate del vecchio tipo”;
Canzone singola: Mirkoeilcane – “Stiamo tutti bene;
Album in dialetto: Francesca Incudine – “Tarakè”;
Interprete di canzoni: Fabio Cinti – “La voce del padrone. Un adattamento gentile”;
Album collettivo a progetto: “Voci per la libertà. Una canzone per Amnesty”.
Vediamo di fare alcune considerazioni, partendo da quelle artistiche soggettive, per arrivare a rilevare una tendenza che mi sembra interessante. Intanto dico che sono vittorie molto ben rappresentative dello stato attuale della canzone d’autore italiana: che non è affatto cattivo.
Cominciamo con il vincitore assoluto: Motta col disco “Vivere o morire”. Su Motta, ora è evidente, mi trovo da sempre in netta minoranza. Non mi piacque il primo disco che vinse anche allora la Targa, per l’opera prima. Ne spiegai le motivazione che, per ciò che mi riguarda, valgono anche oggi: Motta è un autore ancora molto acerbo; le canzoni “urlano bene” ma a livello di scrittura non spiazzano, non colpiscono, sono piane. Se me le cantasse chitarra e voce le troverei di una noia mortale. L’artista ha un’ottima attitudine al live, una voce molto espressiva e una verve notevole, ma per me la canzone d’autore è un’altra cosa. Non nego – e anzi affermo con forza e consapevolezza – che, anche nell’accezione del Tenco, come è giusto che sia, il significato dell’espressione oggi si riferisca a un genere onnicomprensivo, che si fregia della vecchia espressione solo per un meccanismo di antonomasia; ma se devo scegliere chi rappresenti anche storicamente lo stesso genere, preferisco Mirkoeilcane, Gabriella Martinelli o Carlo Mercadante; e infatti quelle sono state le mie preferenze per questa sezione.
Del disco di Motta, nello specifico, penso che senza Riccardo Sinigallia (produttore del primo album) le canzoni si scoprano per quelle che sono, e hanno le gambe storte. I testi sono scritti con Pacifico, perché Caterina Caselli, produttrice, sa fare il suo mestiere ed evidentemente concorda con quanto ho scritto poco sopra. Pacifico ha fatto il possibile, ma raddrizzare i testi è un lavoro ben più avvilente rispetto a quello di saper scrivere canzoni. Anche uno dei migliori arrangiatori in circolazione, Taketo Gohara, ha fatto il possibile, ma lui è un arrangiatore, non un cantautore come Sinigallia: se i pezzi sono belli, come con Brunori, vengono fuori bellissime cose; se la scrittura strutturale del pezzo non ne è il punto forte, si sente che qualcosa manca. Di migliore, rispetto al primo disco, questo ha lo sforzo dell’autore di costruire un percorso tramite la sua poetica. Aspetto i suoi prossimi lavori con curiosità.
E veniamo alle altre sezioni. Sono molto d’accordo con le vittorie di Giuseppe Anastasi e di Mirkoeilcane. Anastasi è il contrario esatto di Motta: uno che le canzoni sa scriverle molto bene; le ha scritte per diversi artisti importanti, ha avuto riconoscimenti come autore, ora comincia a costruire un proprio percorso senza perdere un briciolo di brillantezza, anzi: “Canzoni ravvicinate del vecchio tipo” è un album delizioso. Di Mirkoeilcane ho scritto molto in passato. La sua vittoria è il risarcimento per quella mancata a Sanremo (ma forse è giusto così) e conferma le capacità di un cantautore che in futuro risulterà prezioso, spero col proprio nome e cognome, in una strada che – come per tutti i più grandi – cementi album dopo album l’aderenza tra l’uomo e l’artista.
Nella sezione Interpreti mi spiace non abbia vinto Grazia Di Michele, che col disco “Folli voli” è tornata pura interprete in maniera estremamente elegante. Ha comunque vinto Fabio Cinti, che è uno dei nostri autori più raffinati.
Lascio per ultima la vittoria di Francesca Incudine nella sezione dialettale, perché mi porta a una considerazione su quella che mi pare una felice tendenza, confermata da queste Targhe. La vittoria dell’artista siciliana fa bene e ben sperare all’intero movimento d’autore italiano. Come Mirkoeilcane, infatti, Francesca Incudine si è fatta strada partecipando a numerosi concorsi in giro per l’Italia, spesso vincendoli: alcuni anche dei più raffinati, come il Premio Parodi, Bianca D’Aponte, L’artista che non c’era o Botteghe d’Autore. Come mi auguravo alcuni mesi fa, vuol dire che queste manifestazioni riescono a “far rete”, cernita critica, convogliando valutazioni autorevoli che vogliano valorizzare non solo l’orecchiabilità di un ritornello, ma il saper fare poderoso di autorialità musicale e letteraria unisone. Spesso questi concorsi sono organizzati da operatori culturali senza scopo di lucro e, anzi, che ci rimettono soldi propri, con meticolosità e buon gusto. Se questi sforzi fanno emergere artisti come Francesca Incudine, non sono certo stati vani.