Viviamo un’epoca in cui gli esercizi commerciali durano spesso lo spazio di un mattino. Trovi delle insegne che parlano di botteghe “antiche” se si superano i venti o trenta anni di età. Rifacendoci a questo “vezzo” allora possiamo definire la libreria Comunardi di via Bogino 2 a Torino (in pieno, pienissimo centro cittadino) una libreria antica, anzi storica. Paolo Barsi, da sempre proprietario, la aprì infatti nel 1976, quando aveva solo ventitré anni.
Perché parlo della Comunardi? Perché, oltre ad essere appunto la libreria più antica di Torino (fino a pochi mesi fa lo era la libreria scientifica Cortina, che ha chiuso), rischia di chiudere i battenti a causa di uno sfratto esecutivo fissato per il prossimo 30 settembre. E la Comunardi non è una libreria qualsiasi, una libreria come un’altra. E’ una libreria da sempre attenta alle problematiche del sociale, punto di incontro della Torino sensibile a questi temi. Una libreria indipendente che nei suoi 250 metri quadri ospita da 44.000 a 46.000 titoli; una libreria aperta tutti i giorni, anche sabato e domenica fino a mezzanotte, per soddisfare le esigenze di cultura in qualsiasi momento; una libreria che ospita presentazioni di libri e dibattiti sociali. Insomma, un riferimento sicuro per torinesi e non solo, per la sinistra torinese e non solo.
Ma c’è un elemento in più che disturba nella vicenda della possibile chiusura, e cioè che la proprietà, per sua espressa ammissione, vorrebbe vendere i muri ad un ennesimo supermercato. La grande distribuzione a Torino, infatti, non si limita ad aprire punti vendita in periferia, ma aggredisce il centro e si metastatizza sotto forma di piccoli negozi. Complice la mano pubblica che ormai da decenni non regolamenta più la presenza di categorie commerciali neppure nei centri storici. Esemplare l’apertura proprio a Torino di un supermercato Coop in Galleria San Federico.
Ma che la Comunardi chiuda è un rischio, non una certezza. Infatti, Paolo (lo chiamo così perché è anche un amico) sta cercando degli investitori che siano disposti ad offrire alla proprietà la somma che questa richiede per vendere (si parla di circa 700.000 euro), e non dispera di riuscirvi.
Intanto è partita in rete, attivata dagli amici della Comunardi, una doverosa raccolta firme. Chiunque, oltre a firmare, può inserire un commento. Il mio è stato: “Ne ho le scatole piene dei supermercati. Ci si ciba anche di cultura!” Voi lasciate quello che volete, ma fatevi sentire.