Il sole è alto sull’Acropoli di Atene, e il cielo limpido lascia contemplare l’estensione della città e la stratificazione della sua storia. Ai piedi del Partenone, nei quartieri Plaka e Monastiraki, i turisti affollano le strade, così come preannunciato poche settimane fa dal primo ministro Alexis Tsipras. Numeri record per un’industria che fa registrare afflussi in crescita del 13% rispetto allo scorso anno, e fanno attendere un totale di 32 milioni di visitatori per il 2018, in un Paese che supera di poco i 10 milioni di abitanti. Il Washington Post parla di “inaspettato sentore di rinascita” per la capitale greca, il New York Times pubblica un lungo reportage dal titolo Athens, Rising esaltando la ritrovata vitalità della culla della democrazia. Dopo aver trascorso la maggior parte dell’ultimo decennio in recessione, lo scorso anno la Grecia è tornata a crescere, registrando un incremento del Pil dell’1,4%, e dovrebbe chiudere l’anno in corso con una crescita del 2,3% secondo le stime della Commissione europea.
E dopo aver incassato l’ultimo pacchetto di aiuti all’Eurogruppo del 21 giugno, Tsipras ha potuto finalmente tener fede alla promessa di indossare la cravatta a fronte di un inizio di soluzione per l’enorme problema del debito pubblico ellenico, avendo trainato il Paese fuori dalle sabbie mobili dei bail-out. Sorrisi anche da Klaus Regling, managing director dello European Stability Mechanism, il quale poche settimane fa ha dichiarato: “La Grecia è a un passo dal diventare il prossimo esempio di successo di questo approccio nell’area euro, purché si attenga al cammino di riforme”. Un cammino non certo facile: dal 2008 il Pil pro capite della Grecia ha raggiunto i 33 punti percentuali di distanza dalla media europea, e gli ultimi 11 miliardi di euro sono costati, tra le altre cose, un inasprimento delle tasse sugli immobili, un’accelerazione delle privatizzazioni energetiche e una nuova riduzione della spesa per pensioni e welfare. Forse non è ancora il momento di festeggiare.
Secondo un’indagine dell’Eurobarometro, condotta tra il 17 e 26 marzo, i greci sono il popolo meno soddisfatto d’Europa. Solo il 52% esprime soddisfazione per la propria vita, rispetto a una media per l’Europa a 28 dell’83 per cento. Poco più di un terzo, il 35%, dichiara di essere soddisfatto della situazione finanziaria della propria famiglia: meno della metà della media Eu, al 71 per cento. Il 98% ritiene che la situazione economica del Paese sia negativa (in Europa è il 47%) e il 50% crede che la crisi non solo non si sia conclusa ma debba ancora peggiorare. D’altronde nuove strette alle pensioni e innalzamenti delle tasse, già in calendario anche per il 2019 e 2020, non fanno presagire nulla di buono. Una fetta consistente della popolazione negli ultimi dieci anni ha già abbandonato il Paese, e altri seguiranno. Al momento sono oltre 420mila cittadini, ed è il terzo esodo di massa dal Paese ellenico per ragioni economiche, come ha evidenziato la Banca di Grecia con un report a firma di Sophia Lazaretou dall’eloquente titolo “Fleeing of human capital: contemporary migration tendencies of the Greeks in the years of crisis”.
Il primo esodo di massa viene compreso tra il 1903 e il 1917, aveva quali destinazioni Stati Uniti, Australia, Canada e Brasile e riguardava lavoratori non specializzati e non scolarizzati. Il secondo esodo, compreso tra il 1960 e il 1972, fatto di lavoratori specializzati, condusse verso Germania e Belgio. Oggi invece giovani ad alta scolarizzazione si dirigono principalmente verso Regno Unito ed Emirati Arabi. Nell’Unione europea Atene si posiziona al quarto posto per emigrazione in proporzione alla forza lavoro, superata solo da Cipro, Irlanda e Lituania. Nel 2013 oltre il 2% del totale della forza lavoro greca ha lasciato il Paese. In più della metà dei casi si tratta di giovani tra i 25 e 39 anni. “Non è una coincidenza che tutte le tre fasi siano nate dopo un disordine recessivo che ha ampliato il divario tra il nostro Paese e le nazioni sviluppate – ha dichiarato Lazaretou al quotidiano Kathimerini -, e alimentato l’esodo soprattutto di giovani, alla ricerca di nuove opportunità e potenziale di crescita”. Per chi resta, invece, sharing economy e mercato del lavoro sommerso rappresentano una via di mezzo tra un colpo di fortuna e la necessità di adattamento. La disoccupazione giovanile tocca quota 43%, e la distanza tra le accademie e il mondo del lavoro non potrebbe essere maggiore, in assenza di un mercato in grado di assorbire gli investimenti in formazione.
Enoikiazetai. Vendesi. Un adesivo giallo, con piccoli caratteri, si distingue ripetutamente nel panorama urbano fatto di locali abbandonati ed esercizi commerciali con un difficile futuro. I dati dello scorso anno forniti dalla Hellenic Confederation of Commerce and Entrepreneurship evidenziano il 28% di negozi chiusi nel centro di Atene, in crescita di mezzo punto rispetto alla precedente rilevazione. Nei primi anni della crisi a prosperare erano soprattutto banchi dei pegni e compro-oro, anche loro adesso fanno fatica avendo esaurito gran parte del mercato. I consumi restano al palo, e lo confermano i numero rilasciati a metà giugno da Eurostat, che ha posizionato la Grecia per il 2017 al 19esimo posto in Europa e a 23 punti di distanza dalla media Eu, preceduta direttamente da Malta, Repubblica Ceca e Portogallo. Anche perché i prezzi di prodotti e servizi sono rimasti pressoché stabili negli ultimi anni, sganciati dal crollo che ha investito i salari, a causa di un mercato che vede come protagonisti monopoli e oligopoli. Che coinvolgono anche le stesse multinazionali che producono nel Paese, e che pure hanno beneficiato dei vantaggi offerti da un costo del lavoro ancora inferiore rispetto al passato.
Il rischio di povertà è oggi al 35%, raddoppiato dal 2010 e in Europa inferiore solo a Romania e Bulgaria. Non c’è dunque molta voglia e possibilità di spendere, con un tasso di disoccupazione che continua a superare il 20%, lontano dalla soglia del 30% a vista nel 2013, ma considerando impiegato anche chi dichiara di aver lavorato una sola ora nella settimana. Nel frattempo i dati relativi alla sottoccupazione nel 2016 si dimostrano triplicati rispetto a quanto osservato nei tempi pre-crisi. E Konstantinos Poulis, autore e giornalista, ha scritto al riguardo: “Significa che, invece di avere persone senza lavoro, abbiamo persone povere con un lavoro – semplicemente non le contiamo”. Ma poco importa per una società che è stata sempre fondata spiccatamente sulla figura del capofamiglia lavoratore, favorendo la redistribuzione di risorse all’interno del nucleo familiare, considerata vero e proprio ammortizzatore sociale.
Per questo i pensionati hanno avuto sempre un occhio di riguardo nelle finanze pubbliche di Atene, e hanno subìto gli effetti della crisi in misura relativamente minore rispetto a tutte le altre categorie sociali. I tagli sono stati inferiori alla riduzione dei redditi, e le stesse pensioni d’oro sono state solo sforbiciate. Alimentando ulteriormente una disuguaglianza sociale già tra i livelli più alti tra i Paesi della Eu. “I limiti di questo sistema sono diventati evidenti quando è scoppiata la crisi. Molti capofamiglia hanno perso i loro lavori e una considerevole parte della popolazione è stata lasciata senza alcuna, o quasi, risorsa finanziaria”, scrivono Eirini Andriopoulou, Alexandros Karakitsios, Panos Tsakloglou, in un report dell’Hellenic Observatory e della London School of Economics dal titolo: “Inequality and poverty in Greece: changes in times of crisis”.
E così, senza alcuna prospettiva come gli 11mila senzatetto di Atene, alcuni di loro hanno pensato di organizzarsi con delle apecar di fortuna per andare al recupero di ogni oggetto potenzialmente rivendibile dagli stracolmi cassonetti della capitale ellenica. Senza speranza, ed è forse la rappresentazione di quell’inconscio collettivo a cui il Paese sembra essersi consegnato dopo il caos politico del 2015, quando il governo, esattamente tre anni fa, aveva chiamato gli elettori a raccolta per esprimersi con un referendum sulle nuove misure di austerità volute dai creditori del Paese, ricevendo una bocciatura dal 61 per cento. Il secondo governo Tsipras e l’accordo di ristrutturazione del debito sono stati vissuti come un tradimento politico e hanno seminato amarezza e disillusione, sgretolando la popolarità del primo ministro e gran parte della fiducia nel futuro. In vista delle prossime elezioni in calendario a ottobre 2019, i sondaggi segnalano il partito di opposizione Nuova Democrazia intorno al 30%, dieci punti in più rispetto a Syriza che non va oltre il 20%, mentre il Movimento per il cambiamento, che include il Pasok, e Alba Dorata raccolgono rispettivamente il 10 e il 7 per cento.
Da piazza Omonia a Panepistimio, lungo via Stadiou che porta a piazza Syntagma, l’aria si fa rarefatta. Senzatetto, ambulanti, pattuglie, un presidio sindacale, gli stand di una festa della birra convivono con circospezione nell’arco di pochi metri. Nella zona universitaria teatro di violenti scontri in questi anni, un uomo in camicia e abito non scende dallo scooter e sul marciapiede offre un pasto a un clochard sotto le insegne di Alpha Bank. Tre ragazzi abbozzano un disegno con gli spray sulle saracinesche chiuse della domenica pomeriggio, incuranti delle volanti alle loro spalle. “Sono stato arrestato una volta con un gruppo di amici ma la polizia è stata molto gentile, ci ha portato in stazione e poi ci ha lasciato andare facilmente. I graffiti sono ovunque e a nessuno importa più se dipingi un altro po’”. Lo racconta ad Aesthetics of crisis, progetto di ricerca etnografica sulla street art politica ateniese, l’artista ideatore di One Yuro/1€, serie di tag presente compulsivamente in ogni angolo della città, e in particolare su arredo urbano obsoleto e vecchie cabine telefoniche, centraline elettriche, negozi abbandonati. “Lo scrivo soprattutto perché siamo la generazione che deve sopravvivere con niente. La nostra generazione è la generazione del One Yuro in questo senso: solo briciole, niente pane”.
Gli effetti dell’austerity sono palpabili: solo nel cuore del centro storico di Atene ci sono più di 1.500 edifici abbandonati, e andranno demoliti come già accaduto dal 1950 a oggi per un buon 80% degli edifici costruiti nell’ottocento e nel primo novecento, secondo le stime dell’associazione Monumenta, che raccoglie archeologi e architetti. Cancellando di fatto l’eredità dell’architettura neoclassica e del modernismo greco. “Le persone non hanno i soldi per ristrutturarli – ha detto al Guardian la co-fondatrice di Monumenta, Irini Gratsia. C’è il grande pericolo che molti verranno abbattuti, e non perché i proprietari vogliono nuovi edifici, ma perché non vogliono pagare le tasse di proprietà promulgate dall’inizio della crisi”. In tutta la città si contano oltre 300mila case e appartamenti vuoti. Una geografia urbanistica e sociale che tuttavia, insieme a una legislazione permissiva, ha attirato negli ultimissimi anni creativi da tutto il mondo, che hanno trovato espressione artistica sui muri della città. In particolare su quelli del vicino quartiere di Exarchia dove, a dieci anni dalla morte di Alexandros Andreas Grigoropoulos, uno studente quindicenne ucciso da una pallottola sparata da un agente di polizia, fioriscono con più rumore gallerie d’arte e start-up, nuove caffetterie ed esercizi commerciali.
Trasformazioni del tessuto che fanno discutere su un potenziale fenomeno di gentrificazione che possa aver coinvolto lo storico fortino degli anarchici e della sinistra antagonista. Il progetto Athens social atlas, promosso dalla Fondazione Onassis e sviluppato da Harokopio University The French School of Athens, National Centre for Social Research e Hellenic Statistical Authority, riconosce la vivace storia del quartiere che, favorito dalla vicinanza delle accademie, è da sempre un punto di riferimento della contestazione politica, artistica e culturale. Ma sottolinea sia il trasloco di parte degli storici residenti in altre zone della città, sia un allentamento dei legami deboli tra gli abitanti del quartiere negli ultimi anni, circostanze che hanno fatto emergere forme di cannibalismo sociale, fenomeni di criminalità prima sconosciuti e apparire forze dell’ordine in sorveglianza permanente. La rinascita stenta ancora a decollare.