Li vedi in giro per Milano, un po’ arroganti, con quell’aria del tipo “ti spiego io come funziona il mondo che sono giovane e tu non capisci una mazza”. Alcuni, quelli che han già fatto i soldi, sono più lanciati e sfoggiano orologi costosi o abiti firmati, quelli che invece i soldi devono ancora farli si atteggiano a guru. Sto parlando di Netties? Di super algo-trader (più un nome che fa scena che un vero lavoro) divenuti ricchi grazie alle Ia? Di grandi esperti di bitcoin o startuppari freschi di exit milionaria (in Italia?). No, non sto parlando di Yuppies e non parlo della Milano del 2018, ma di quella del 1983-84.
Parlo di un’epoca, 30 anni fa, in cui io ero un pupo (classe ’76), dove Internet era sì e no un pupo come me (tra Arpanet e simili), quando c’era ancora la lira e l’Italia si prendeva un poco di più in giro. Parlo di una Milano che era un po’ socialista e un po’ democristiana, dove c’era ancora una classe operaia, dove gli agenti immobiliari – quelli che vendevano auto e (per i più ricchi) quelli che lavoravano alla borsa – leggevano Il Sole 24 ore, bibbia del capitalismo. Era una Milano più sbruffona, arrogante, ma anche divertita. Dove c’era voglia di crescere e inventare. Una “Milano da bere” come ben spiegato da una pubblicità famosa all’epoca. In questo mondo si muoveva Carlo Vanzina, morto oggi.
“Carlo Vanzina da dietro la cinepresa, insieme a suo fratello Enrico nello scrivere, è stato capace di raccontare la biografia dell’Italia che usciva dai plumbei anni 70” Mi spiega Franco Spicciariello, autore di Vacanze di Natale (2003). Un mondo a parte “per entrare in un decennio cui le persone sembravano aver ritrovato la voglia di produrre, crescere, divertirsi, alla ricerca forse di un superfluo che era diventato necessario: si pensi ai vari Vacanze di Natale, il loro capolavoro, Yuppies e Via Montenapoleone. Una biografia proseguita poi negli anni 90, di cui Carlo ha immortalato una volgarità emergente (esemplari Miliardi, Spqr e un Vacanze di Natale 2000 specchio di una nuova era) priva di quella leggerezza che aveva invece ammantato gli 80’s. Ma ancora una volta e sino ad oggi, lui ed Enrico sono stati come cronisti, a volte spietati e altre più dolci, narratori di questa nostra Italia in cerca di sé stessa o forse in cerca ancora di quegli insuperabili anni 60 da loro magistralmente raffigurati in quel Sapore di mare, sorta di ‘Come eravamo e come forse vorremmo ancora essere'” conclude Franco.
Ora, ci si potrà domandare, con tutti i casini che ha l’Italia in questi giorni c’era proprio bisogno di fare l’elogio funebre a un tizio che ha fatto film leggeri, divertenti sì, ma non certo opere di cultura come qualche osannato dal mondo radical chic di sinistra. Io credo di sì. Magari per ricordare che 30 anni fa l’Italia era un membro del G8 come oggi, ma le macchine Olivetti erano una potenza di computer. Trent’anni fa l’Italia aveva voglia di crescere, di rischiare, se c’era un problema lo si affrontava di petto (magari ci si faceva pure male, come successe a Bettino Craxi con Sigonella). Trent’anni fa c’erano politici che avevano fatto un pezzo di storia di Italia e pure una guerra, come Giulio Andreotti. Un uomo al pari dei grandi come Henry Kissinger o Zbigniew Brzezinski (bene inteso non uno stinco di santo ma uno che sapeva prendere decisioni).
La Milano di 30 anni fa era sicuramente meno tecnologica di oggi ma la sua arroganza e la sua sete di vita, ben espressa in Yuppies 1 e 2, era decisamente quella di oggi. Con una differenza: la Milano di allora si sapeva prendere in giro. La gente si guardava in faccia e aveva l’abitudine di mandarsi anche a quel paese facilmente. Essendo io allora un pupo questa Milano l’ho vissuta attraverso i racconti dei miei genitori e amici dei miei. In tutto questo Vanzina ha saputo cogliere quel tipo di grezza vitalità, un po’ buzzurra un po’ arrivista che ancora oggi connota Milano.
Con una differenza sostanziale. Allora c’era un futuro. Con uno stipendio medio ti aprivi un mutuo e in 10-15 anni avevi una casa. Avevi la certezza che un lavoro a tempo indeterminato implicava l’opportunità di pianificare una famiglia. Oggi invece tra globalisti con magliettine rosse e guru della rete, cariche lavorative con titoli altisonanti (più scena fa il titolo meno soldi porti a casa a fine mese, magari con una partita iva da minimo) ho talvolta la percezione che Milano sia un po’ come Sisifo e il suo masso. Che dire forse Milano ce la siamo bevuta tutta 30 anni fa.