Nella cartina politica dell’Italia, fino al crollo del muro di Berlino, la Toscana era una vasta macchia rossa con appena una chiazza bianca: Lucca, feudo dc. Trent’anni dopo il rosso è quasi sparito, salvo, ironia della storia elettorale, a Lucca oltre che a Firenze e Prato, il cuore produttivo e ricco della regione. Dopo i ballottaggi del 24 giugno in seguti alla caduta delle ultime roccaforti rosse – Siena, Pisa e Massa –, la Lega e la sua pasionaria Susanna Ceccardi sono partiti lancia in resta alla conquista di Firenze e Prato, dove si voterà il prossimo anno, e soprattutto della regione (voto nel 2020). In caso di vittoria a Palazzo Panciatichi, sede del parlamentino toscano, non sventolerà più la bandiera rossa.
E qui, nei corridoi del palazzo, Susanna la pasionaria è diventata il grande incubo del Pd. A tal punto che il tema dell’estate politica in Toscana è diventato questo: chi scegliere come candidato presidente per i democratici per arrestare la marcia leghista? E molti in casa Pd si chiedono se per vincere non sia saggio rivedere l’attuale legge elettorale, il Toscanellum. Un po’ come, ricordano i più maliziosi, si racconta che facesse Matteo Renzi da ragazzo quando giocava al pallone: se la partita si metteva male per la sua squadra prendeva il pallone e se lo portava a casa. Vero o meno che sia l’aneddoto dà l’idea del clima di paura che si respira nel Pd toscano che, vale la pena di ricordarlo, dal 2013, anno di ascesa di Renzi al Nazareno, ha perso la guida di tutte le città capoluogo della Toscana dove si è votato: Livorno e Carrara (andate al M5s) e Arezzo, Grosseto, Massa, Pisa, Pistoia e Siena (tutte al centrodestra). Salvo Lucca, che è rimasta in mano Pd, ma con un sindaco non renziano, Alessandro Tambellini.
La causa della sconfitta di queste città è stata in gran parte intestata al sistema elettorale del ballottaggio: al primo turno vince solitamente il candidato del Pd, ma nel secondo turno perde perché le opposizioni si uniscono. E il ballottaggio è stato introdotto nel 2014 anche nella legge elettorale regionale, che lo prevede nel caso in cui nessun candidato alla presidenza della Regione abbia raggiunto il 40 per cento dei voti. Fino a qualche anno fa questa soglia era facilmente superata dal centrosinistra che si attestava tra il 50 e il 60 per cento, ma dopo gli ultimi rovesci elettorali non è più sicuro niente. Da qui l’idea di rivedere il Toscanellum.
Il “la” alla revisione della legge – che può essere realizzata dal consiglio regionale – lo ha dato il presidente dell’assemblea, il renziano Eugenio Giani: “La Toscana è l’unica regione a prevedere il ballottaggio, in tutte le altre regioni è previsto un solo turno elettorale”, spiega. Contro Giani si sono subite coalizzate le opposizioni. Lega e Fratelli d’Italia: “Vogliono cambiare la legge elettorale perché il Pd ha paura di perdere”. Anche il presidente Enrico Rossi però si è detto contrario: “La legge elettorale l’abbiamo approvata nel 2014 e comunque non ha senso modificarla ad un anno dalle elezioni. Piuttosto concentriamoci sui programmi e sulle alleanze per presentarci competitivi alle elezioni del 2020”. Gli risponde un altro renziano doc, il consigliere massese Giacomo Bugliani: “Le leggi elettorali a doppio turno vanno riviste, anche nei Comuni, perché sono nate quando in Italia c’era il bipolarismo”.
E i candidati al ruolo di anti-Ceccardi, se sarà lei la candidata della Lega? Girano i nomi dello stesso Giani, dell’assessore alla Sanità Stefania Saccardi, appoggiata dal mondo cattolico, forse dello stesso ex braccio destro di Renzi Luca Lotti, sempre più assiduo negli incontri fiorentini. “Ancora presto per parlare di candidati”, taglia corto il capogruppo del Pd Leonardo Marras. La verità è che il toto-candidati scatterà tra un anno, dopo le elezioni a Firenze, Prato e Livorno. Soprattutto a Palazzo Vecchio. La vera ultima roccaforte del Pd toscano. “Persa quella – dicono in via Forlanini, sede del Pd regionale – facile prevedere la caduta del Pd in Regione, un anno dopo”.