Monica Vitti parla con una suora. È il 1978. Subito dopo Mike Buongiorno dialoga con un prete e un ragazzo che è in procinto di prendere i voti. È il 1981. Poi una ex suora racconta la sua storia. I motivi per i quali ha abbandonato il convento. Infine Luca Giurato intervista un sacerdote che canta. È il 2000. Frame. Immagini che contribuiscono a raccontare preti e suore. La puntata di Vox populi del 6 luglio ha aperto così. Dopo è stata la volta della tossicodipendenza giovanile e infine del legame tra matrimonio, verginità e castità. Tre temi, uno serio, il secondo leggero e il terzo controverso.
È Vox populi ,a cura di Luca Martera, la striscia quotidiana , che indaga i cambiamenti dei costumi degli italiani legati al lavoro, lo studio e il tempo libero negli ultimi 40 anni, dalla fine degli anni 70, in coincidenza dell’introduzione del colore nella tv di Stato. S’interroga sul fatto che siano realmente cambiati. Nel caso, cerca di capire “quanto”. Dal lunedì al venerdì, a partire dal 18 giugno, in onda su Rai 3, alle 20,20. 150 argomenti “rivelatori del carattere italico” che saranno affrontati in 50 puntate.
Le modalità con le quali il programma si snoda, semplici ma efficaci. “Interviste alla gente comune con il porgitore di microfono che chiede cosa ha provato in occasione di un evento o il proprio parere su un altro”. Di più. “Una sorta di videobox-amarcord, sociologico, affidato esclusivamente al ricordo della gente comune intervistata nei migliaia di programmi di attualità custoditi negli scrigni delle teche Rai, dai servizi dei tg ai programmi dell’accesso, dalle rubriche dipartimento scuola educazione agli approfondimenti giornalistici”.
Un programma straordinariamente meraviglioso. Addirittura sorprendente, considerata la programmazione estiva. Tra repliche di film e di fiction. Un programma che esalta la capacità del servizio pubblico di stimolare il ragionamento. Di farlo in anni nei quali a dominare è quasi esclusivamente l’intrattenimento senza contenuti, ma a costi di produzione quasi fuori controllo. Già, perché il merito di Vox populi è certamente quello di cercare di raccontare l’Italia che fu. Ma lo è ancora di più per l’idea iniziale. Insomma il progetto. Un progetto che vive, anzi si compie attraverso il recupero dei programmi Rai, dal 1978. Una scelta attenta delle parti utili allo scopo. Non ci sono esperti. Non serve uno studio. Tanto meno un conduttore. Tutto ruota intorno ai quei 150 argomenti “rivelatori del carattere italico”. Alla loro individuazione e poi alla capacità di declinare sensibilità e sfrontatezze, attraverso le immagini.
La circostanza che gli ascolti non siano pari alla qualità del programma non sorprende. Lo share inseguito pervicacemente da molti dirigenti Rai, come noto, non può definirsi un indicatore del valore di un programma. Nell’accesso prime time, il 6 luglio scorso Vox populi ha raccolto 562mila spettatori per un 2,8 %, mentre Techetechetè, su Rai 1, ha ottenuto 2milioni e 968mila spettatori con il 13.4%. Stasera Italia su Rete 4 ha radunato nella prima parte 744mila individui all’ascolto (3,6%). Su La7 In Onda ha interessato 702mila spettatori (3,2%), mentre 4 Ristoranti su Tv8 ha divertito 336mila spettatori con l’1,6%. Insomma il programma a cura di Luca Martera, a parte lo strapotere di Techetechetè, è stato sconfitto dai talk show ma ha superato il format di Alessandro Borghese.
“Ma una rete televisiva deve rinunciare alla propria linea editoriale e inseguire solo gli ascolti?”, si chiedeva in maniera provocatoria Aldo Grasso, in un suo editoriale sul Corriere della sera lo scorso 29 giugno. Spostare la programmazione di Vox populi nel pre serale sarebbe una risposta. Sfortunatamente, è più che probabile non accadrà. La Rai ha dismesso la sua funzione educativa, da molto.