Televisione

Roberto Saviano presenta ‘Il Mondo dei Narcos’: il viaggio di Beriain nell’inferno Messicano della droga

La mini serie si compone di quattro inchieste (“Il Mercato dell’Innocenza”; “Lo Stato di Sinaloa”; “La guerra di Sinaloa”; “Viaggio oltre confine”) divise in due serate e in onda su canale Nove di Discovery Italia lunedì 9 luglio alle 21.15 e lunedì 16 luglio alla stessa ora

di Davide Turrini

Il mondo del traffico della droga messicano osservato da pochi centimetri di distanza. Laboratori di metanfetamine e di lavorazione dell’eroina; passeggiate in mezzo ad infiniti campi di marijuana; interi fortini militarizzati a protezione di gruppi di trafficanti; un giovane boss irrequieto e dal grilletto facile; una prostituta scampata alla vendetta mortale del cartello della droga. Questo è molto altro nelle puntate della mini serie Il Mondo dei Narcos. Quattro inchieste (“Il Mercato dell’Innocenza”; “Lo Stato di Sinaloa”; “La guerra di Sinaloa”; “Viaggio oltre confine”) divise in due serate e in onda su canale Nove di Discovery Italia lunedì 9 luglio alle 21.25 e lunedì 16 luglio alla stessa ora.

L’autore dei documentari e protagonista in scena è il giornalista/documentarista David Beriain. Mentre ad introdurre e concludere ogni puntata sarà Roberto Saviano. Proprio in apertura della seconda puntata – Lo stato di Sinaloa – è lo scrittore campano a raccontare la portata impressionante di questo fenomeno criminale. Sinaloa, nella zona centroccidentale del Messico è la “culla del narcotraffico”, spiega Saviano, là dove a fine ‘800 arrivarono migranti cinesi come manodopera e importarono l’oppio. Da ciò, nel corso dei decenni, si è sviluppata la coltivazione/produzione di eroina e marijuana e soprattutto dopo che i colombiani, re incontrastati del traffico di cocaina negli anni Ottanta, subirono una controffensiva statunitense nella rotta del trasporto caraibico, ecco che i messicani già attivi come corrieri e raffinatori si misero in proprio tenendosi il 35%-50% della merce proveniente dalla Colombia per poi rivenderla ad un altro prezzo altamente concorrenziale negli Stati Uniti.

Gioco facile soppiantare i colombiani e rendere quella zona del Messico il centro di un nuovo traffico di stupefacenti verso il Nord America e l’Europa. “Il traffico di droga non è nient’altro che la forma più spietata, violenta ed estrema di una legge che governa tutti noi, la legge della domanda e dell’offerta”, spiega Beriain al FQMagazine. “Da una parte abbiamo qualcuno nelle strade di Roma o Madrid che paga da 60 a 75 euro per un grammo di cocaina che nella maggior parte dei casi è pura solo al 30 o 40%. Questo prezzo è il doppio di quello che si spende per un grammo di oro. Dall’altra parte abbiamo un altro ragazzo, che dice: ‘Bene, se sei pronto a pagare questa cifra per un grammo, farò qualsiasi cosa per consegnartelo‘. È assurdo pensare che la nostra società occidentale non abbia nulla a che fare con ciò che accade nella parte di mondo in cui si crea l’offerta. Finanziamo i narcotrafficanti comprando la loro droga e poi pagando le tasse finanziamo la lotta armata per contrastarli”.

Impressionante è poi la mimetizzazione di Beriain e del suo gruppo di lavoro nell’essere arrivati letteralmente dentro ai secchi in cui si raffinano eroina e metanfetamine, a ridosso di uomini armati fino ai denti, o di fronte ad un boss pazzo che punta loro la pistola minacciandoli di morte. “A raccontare queste storie non c’è un “io” David Beriain, ma un “noi”. E in questo “noi” al primo posto, e non è pubblicità gratuita, c’è il team di Discovery”, continua il corpulento documentarista spagnolo. “Per ognuno dei nostri racconti ci sono anni di lavoro come preparazione. Un anno l’abbiamo passato solo a Sinaloa. Tutto è fatto con estrema cura e seguendo tre regole. La prima: non mentiamo mai, non lavoriamo sotto copertura e non sottovalutiamo l’impatto che le storie potrebbero avere sui loro protagonisti. La seconda: gli intervistati sono pienamente consapevoli di ciò che stiamo facendo. Non abbiamo telecamere nascoste e chiediamo permesso e accesso per riprendere. Più che giornalismo investigativo io lo chiamerei un “inmersion journalism” (giornalismo d’immersione). Vogliamo che il nostro pubblico si senta benvenuto in quei mondi clandestini e off-limits. Terzo: stiamo vicini agli intervistati dal primo all’ultimo istante. A volte quando sei di fronte a una persona che uccide altre persone per vivere, più che essergli di fianco vorresti essere a un milione di miglia lontano da lui. Ma quando ti avvicini ti rendi conto che la distanza non esiste, che ci sono parti di te che puoi trovare in lui o in loro. E questo è davvero fottutamente spaventoso”.

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