Viviamo in tempi calamitosi. Accade, ahimè, di dover constatare che nei palazzi di giustizia alloggiano – comodamente incistati da grassi parassiti – malviventi in toga e tocco, usi a inventare complotti, screditare o minacciare colleghi, scippare dossier ad altre autorità giudiziarie, simulare indagini su fatti estremamente delicati, per poi archiviarle prontamente, svendendo la funzione giudiziale, in cambio di soldi e altri vantaggi, personali e familiari per favorire i clienti di avvocati “amici”.
Tanto fantasiose quanto sconcertanti le tecniche messe in campo per soddisfare i biechi interessi di costoro, dalla creazione di fascicoli “specchio”, che il pubblico ministero si autoassegna al solo scopo di monitorare ulteriori fascicoli di indagine assegnati ad altri colleghi, a quella dei fascicoli “minaccia”, in cui finiscono per essere iscritti soggetti “ostili” agli interessi della consorteria; e infine col metodo dei fascicoli “sponda”, tenuti in vita per creare una legittimazione formale al conferimento di consulenze, il cui reale scopo era quello di servire gli interessi dei soliti sodali.
In questo contesto, peraltro, le cronache criminali fanno anche trapelare l’esistenza di veri e propri “sistemi” tesi a permettere a magistrati “amici” una serie di “affari” immobiliari, mediante vizi macroscopici nelle procedure di vendita e gravi falsità nelle perizie. Come se non bastassero il mercimonio – che si ipotizza verrebbe fatto sempre più spesso della funzione giudiziaria – o addirittura il sospetto di pedofilia – che attinse, alcuni anni orsono, giudici, alti funzionari e dirigenti che potessero aver fatto uso di un’utenza telefonica intestata al Consiglio di Stato, per contattare prostitute minorenni -, capita anche d’imbattersi nella brutta storia di un procuratore della Repubblica, il quale avrebbe tentato di lenire il senso di colpa di un fantoccio perfetto – ignorante, emarginato e ricattabile, perciò pronto all’uso per qualsiasi crimine da insabbiare, mistificare o depistare – spiegando al malcapitato che una sua falsa collaborazione fosse da prendere come un lavoro e che coloro che sarebbe stato spinto ad accusare nella fantasiosa ricostruzione di una strage più di altre tristemente famosa erano comunque colpevoli di crimini orrendi.
A fronte di simili nefandezze – quantunque sub judice, dunque tutte ancora da provare – il pensiero corre agli Chat-fourré (che sarebbero poi stati i magistrati e i giudici, con allusione all’ermellino che adorna le loro toghe) di rabelaisiana memoria (Gargantua et Pantagruel, Libro V, Capitoli 11-15): “Bestie molto orribili e spaventose”, soggette al comando del loro “archiduc” Grippeminault, “mangiano i bambini e si cibano su lastre di marmo (…) Il pelo non cresce loro sopra la pelle, non spunta fuori: ce l’hanno dentro, nascosto a guisa di felpa; e portano tutti, come emblema e divisa, una borsa aperta, ma non tutti alla stessa maniera: chi la porta al collo a mo’ di sciarpa, chi sul culo, chi sul buzzo, chi sul costato, e tutto a fin di mistero. Hanno anche artigli, e così forti, lunghi e affilati, che nulla sfugge loro dopo che l’abbiano adunghiato”.
Fra questi Gatti felpati, per come un “pezzente dabbene” faceva rilevare a Panurgo e compagni, in procinto di entrare nella loro tana, “regna la sesta essenza, mediante la quale tutto arraffano, tutto divorano, tutto scagazzano. Essi impiccano, bruciano, squartano, decapitano, massacrano, imprigionano, minacciano e distruggono tutto senza distinzione di bene e di male. Perché presso di loro il vizio si chiama virtù; la nequizia è soprannominata bontà; il tradimento ha nome fedeltà, il latrocinio è detto liberalità; il saccheggio è la loro divisa e, se compiuto da loro, tutti gli umani lo trovano buono, eccetto gli eretici; e il tutto fanno con sovrana e irrefragabile autorità”. Sempre, il “gueux de l’ostière” al quale Panurgo e soci “avevano donato un mezzo testone” raccomandava ancora loro che, “se mai pestilenze, carestie, guerre, terremoti, cicloni, cataclismi, conflagrazioni o altre calamità affliggeranno il mondo”, ascrivessero “il tutto all’enorme, indicibile, incredibile e inestimabile malvagità diuturnamente forgiata nell’officina dei gatti felpati”, sconosciuta alla gente, dunque soltanto per questo “non deplorata, detestata, repressa come ragione vorrebbe”.
Per fortuna, i pilastri e i contrafforti della giustizia grippeminaudière non sorgono dovunque e i Gatti felpati, comunque spesso assai potenti, costituiscono un’esigua minoranza della fauna che popola i palazzi di giustizia. Talvolta, però, l’ignavia di colleghi spesso arroccati in sterili se non addirittura sospette difese corporative o catafratti di cautele, per paura magari d’incappare nelle vendette dei reprobi, fa, purtroppo, il giuoco degli Chatz fourréz, con grave danno per la credibilità del lavoro dei tantissimi magistrati con la schiena dritta, che, con disciplina e onore, improntano il loro agire al più rigoroso rispetto della legge, e per il prestigio della Magistratura nel suo complesso.