Prosegue il trend di crescita dei ricavi da traffico passeggeri di Alitalia. La compagnia a giugno, infatti, ha registrato un aumento del 10,6% rispetto allo scorso anno. Una crescita a doppia cifra trainata sia dai collegamenti nazionali che da quelli internazionali e intercontinentali. “Complessivamente, dopo l’incremento del 6,4% registrato nei primi tre mesi del 2018, nel secondo trimestre di quest’anno i ricavi da traffico passeggeri sono cresciuti del 7,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente”, dicono le agenzia di stampa.
L’incremento certo non cambia la condizione di collasso in cui si trova la compagnia italiana, ancora a metà strada tra un tentativo di vendita ed un nuovo Governo che continua sulle orme del vecchio, ribadendo la volontà di non vendere. L’Alitalia, mai veramente privatizzata, ha ora tempo per sopravvivere con i soldi dei contribuenti fino al 31 ottobre prossimo, dopo la trasformazione in legge del vecchio decreto di proroga.
A oltre un anno dal commissariamento governativo, la compagnia – sempre saldamente in mani pubbliche e rinazionalizzata dopo la clamorosa esperienza negativa della fusione con Ethiad – dispone ora di 900 milioni di nuovo prestito pubblico, che si trovano sotto i riflettori dell’Unione Europea in quanto aiuti di Stato. Quindi, nonostante il lieve aumento dei passeggeri trasportati a giugno (lieve rispetto ai volumi modesti dello scorso anno), il vettore nazionale resta invenduto e molto probabilmente non vendibile. Senza ristrutturazione nessuno compra e se si ristruttura ci vuole un piano industriale che metta in discussione nel profondo tutti i meccanismi produttivi. In più nel pessimo stato di salute in cui versa, l’azienda non paga i creditori (Sea vanta 25 milioni di credito) e nemmeno i fornitori, dispone di un patrimonio netto negativo e registra perdite al di sopra il fatturato.
Il salvataggio che doveva essere temporaneo con il commissariamento del marzo 2017 è diventato durevole: prorogato il prestito, prorogata la scadenza del commissariamento e prorogata la cassa integrazione per quasi mille e 600 dipendenti. Dal 2008 si dice di voler far decollare la compagnia ma le soluzioni sono poi tutte politiche e consociative e non fanno altro che aumentare la spesa pubblica e rendere più facile la penetrazione di vettori stranieri in Italia.
L’Alitalia tagliata fuori dai traffici internazionali e da quelli domestici è un po’ come la nazionale fuori dai mondiali: ma se per quest’ultima c’è comunque la prospettiva di giocare nuove partite, per l’Alitalia le partite non sono all’orizzonte, senza un cambiamento deciso e “doloroso”. Commissari, manager e sindacati sanno di poter contare sul Governo dopo le affermazioni di Luigi Di Maio e Matteo Salvini per i quali l’azienda è un patrimonio nazionale che non va svenduto, ma cosa vale un’azienda che da 20 anni è in crisi?
Questa partita sembra vinta da chi non vuol staccare la spina del controllo politico clientelare e corporativo. Del resto la compagnia può contare su un giocatore sempre pronto in panchina come la Cassa depositi e prestiti, disposta a entrare in ogni modo nel capitale di Alitalia. Alitalia che oggi conta già su una robusta presenza pubblica di Poste italiane. Tanti auguri di ancora lungo e costoso buon cammino.