Gli Ermellini hanno deciso che d’ora in poi il criterio per concedere o meno il benefit andrà valutato in base a un “criterio composito”, mentre viene reintrodotto il parametro del tenore di vita goduto durante il matrimonio per la quantificazione dell’entità del mantenimento. Rivoluzionato il diritto di famiglia: non più penalizzate quelle donne che avevano contribuito alla crescita del nucleo familiare, magari non attraverso il loro reddito. Una decisione che influirà su molti procedimenti in corso, primo fra tutti la vicenda Lario-Berlusconi
La Cassazione risolve il contrasto di giurisprudenza sull’assegno di divorzio dopo la sentenza Grilli-Lowenstein: d’ora in poi il criterio per concedere o meno l’assegno andrà valutato in base a un “criterio composito”, mentre viene reintrodotto il parametro del tenore di vita goduto durante il matrimonio per la quantificazione dell’entità del mantenimento. Questo significa che saranno diversi i fattori da analizzare, a seconda dei casi. L’obiettivo è quello di dire addio alla giurisprudenza che per decenni ha concesso indistintamente l’assegno, dando un peso notevole al parametro del tenore di vita ma, allo stesso tempo, non cadere nell’eccesso contrario, quello a cui rischiava di portare la sentenza Grilli, escludendo totalmente il criterio del tenore di vita durante il matrimonio. Un cambio di rotta che, probabilmente, rimetterà in discussione diverse sentenze. In primis la sentenza Berlusconi-Lario.
LA SENTENZA GRILLI – A maggio 2017, infatti, la Suprema Corte aveva respinto il ricorso della moglie dell’ex ministro dell’Economia Vittorio Grilli a cui nel 2014 la Corte di Appello di Milano aveva negato l’assegno di divorzio. Una sentenza, quella pronunciata lo scorso anno, con cui la Cassazione rivoluzionava il diritto di famiglia, stabilendo che l’assegno andava calcolato sulla base del criterio di autosufficienza e non sul “tenore di vita matrimoniale”, criterio in vigore dal 1990. In pratica, dopo il divorzio, i due ex partner dovevano essere considerati come single. Un indirizzo che penalizzava quelle donne che avevano contribuito alla crescita della famiglia, magari non attraverso il loro reddito. Sono tantissime, in Italia, le donne che scelgono di occuparsi della casa e dei figli, non facendo pesare sul budget le spese per baby sitter e colf e, allo stesso tempo, dando la possibilità al coniuge di concentrarsi sulla propria realizzazione professionale e fare carriera. A matrimonio finito, però, con la sentenza Grilli ci si dimenticava del pregresso e queste donne rischiavano di doversi trovare un lavoro alla soglia dei sessant’anni.
LA NUOVA SENTENZA – Con la sentenza 18287/2018, attesa dal 10 aprile scorso e appena depositata, le Sezione Unite civili della Corte di Cassazione hanno stabilito che l’assegno di divorzio ha funzionale “assistenziale, compensativa e perequativa”. Nell’attesa della sentenza integrale, che sarà depositata a breve, in una nota stampa gli Ermellini hanno precisato alcuni aspetti: ai fini del riconoscimento dell’assegno “si deve adottare un criterio composito – hanno spiegato – che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, dia particolare rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale”. Una decisione che tende a rafforzare la posizione dell’ex coniuge che ha contribuito in qualche modo non solo alla formazione del patrimonio familiare, ma anche alla ricchezza dell’altro. I parametri su cui decidere lʼentità del mantenimento, poi, saranno durata del matrimonio, potenzialità reddituali future ed età. “Il parametro così indicato – precisano i giudici – si fonda sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l’unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo”. A conferma di questo indirizzo la sentenza sottolinea, infine, che il contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili, “che possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell’unione matrimoniale”.
IL CASO BERLUSCONI-LARIO – La sentenza 18287 è destinata ad aprire diversi casi. In primis quello che sembrava chiuso dopo la decisione della Corte d’Appello di Milano, che a novembre 2017, ha accolto l’istanza dell’ex premier Silvio Berlusconi di applicare proprio la sentenza Grilli sull’assegno di divorzio che deve all’ex moglie. In base a questa decisione Veronica Lario avrebbe dovuto restituire circa 43 milioni di euro e non ricevere più l’assegno mensile da 1,4 milioni di euro. Il condizionale, in questo caso, è d’obbligo.