Il governatore della Basilicata ai domiciliari da 5 giorni per il coinvolgimento nell'inchiesta sulla sanità. Per la legge Severino non può fare il presidente, in Regione mozione contro, ma lui non si fa da parte
Da cinque giorni è agli arresti domiciliari. Per la legge Severino non può già più fare il presidente di Regione. Tra qualche mese finirà la legislatura da governatore. Ed è improbabile, per dire poco, che davvero sarà lui il candidato del centrosinistra, com’era stato deciso solo alcune settimane fa. In ogni caso, nonostante tutto, Marcello Pittella non ha ancora rassegnato le dimissioni da presidente della Basilicata. Né il suo partito, il Partito Democratico, sembra intenzionato ad avviarlo all’uscita. Anzi: nella prima riunione senza il presidente assente per cause di forza maggiore (cioè quella dell’autorità giudiziaria), la giunta ha “ribadito la piena e totale fiducia nell’azione portata avanti dalla magistratura” evidenziando poi “al contempo l’auspicio che” il governatore “riuscirà a dimostrare la propria estraneità ai fatti contestati”. Da ora in avanti a guidare la Regione sarà la vicepresidente Flavia Franconi che, “non senza emozione e intima sofferenza” ha ammesso che “a nessuno sfugge la gravità del momento. Ma è in questi momenti che deve prevalere il senso di responsabilità di tutti, avendo di mira il bene comune dei lucani”. La Franconi, tra l’altro, ha la delega alla Sanità, che è proprio il settore che è epicentro dell’inchiesta che ha portato a 30 misure cautelari, tra cui due arresti in carcere e 20 ai domiciliari: soprattutto dirigenti e commissari di aziende sanitari le persone colpite dal provvedimento del tribunale di Matera. Pittella, in particolare, accusato di abuso d’ufficio e falso, è stato definito dal giudice come il “deus ex machina di questa distorsione istituzionale” che portava a manipolare concorsi e gestire con raccomandazioni le aziende sanitarie locali.
Ma la giunta procede senza esitazioni: piuttosto, si legge in una nota, “sarà impegnata, ancora più di ieri, a portare avanti le azioni di sviluppo delineate nel lavoro sin qui svolto, senza rallentamenti e rinvii: nella mia veste di assessore alla sanità ho dato mandato al dirigente generale del Dipartimento e ai suoi collaboratori di dare il massimo della collaborazione agli organi investigativi, con l’impegno ad adottare ogni utile e rigoroso provvedimento ove dovessero essere riscontrate responsabilità amministrative, legate all’espletamento di talune selezioni”.
Così il Pd bypassa sia la forma sia la sostanza. La forma: avere un presidente ai domiciliari e proseguire come nulla fosse con la vice. La sostanza: alcuni passaggi degli atti dell’inchiesta che, a prescindere dalla concretezza dei reati inviterebbero almeno alla cautela nella apparente solidarietà nei confronti del governatore arrestato. Una parte del consiglio regionale prova ora ad accelerare lo scioglimento di una legislatura che è comunque agli sgoccioli (si dovrebbe votare tra novembre e gennaio). M5s, Forza Italia e Centro Democratico hanno presentato una mozione di sfiducia che però verrà discusse nelle prossime settimane. Nicola Benedetto, consigliere del partito di Tabacci in consiglio e soprattutto fino a dicembre scorso assessore in giunta, aveva fatto appello nei giorni scorsi a tutti i colleghi dell’assemblea per dare le dimissioni nella seduta di ieri. Ma è rimasto inascoltato. Così come sono caduti gli inviti alle dimissioni arrivate dai Cinquestelle, tra gli altri dalla vicepresidente del Senato Paola Taverna. Ieri a Potenza, davanti alla sede della Regione Fratelli d’Italia ed altre formazioni di centrodestra hanno organizzato una specie di “scenografia”: una “piramide” di valige di cartone – per “simboleggiare i lucani costretti ad emigrare” – e fogli verdi in mano, che richiamano alla “lista verde” di “raccomandati” emersa dalle intercettazioni nell’inchiesta sulla sanità.
Ma se la linea del Pd nazionale è quella del silenzio assoluto (anche perché ha problemi più seri dopo la catastrofe elettorale del 4 marzo), quella del Pd regionale resta quella del primo giorno quando in una nota i vertici lucani si sono detti “fiduciosi e rispettosi del lavoro della magistratura”, ma hanno sottolineato “l’affetto” al presidente Pittella, esprimendo la loro “solidarietà, non nutrendo alcun dubbio sul fatto che saprà dimostrare nelle sedi opportune la propria estraneità ai fatti contestati”.
E poi c’è la sostanza, si diceva. Perché da una parte l’inchiesta è all’inizio e restano tutte le garanzie assegnate dall’iter del procedimento. Ma dall’altra ci sono le parole del giudice per le indagini preliminari e lo spaccato consegnato dalle indagini, che vanno oltre l’eventuale giudizio della magistratura. Pittella, infatti, come detto, viene definito “deus ex machina” della “distorsione istituzionale” in cui è piombata la sanità lucana, dove “nulla si muove” senza i suoi “diktat“. Ma viene anche descritto come chi deve risolvere i nodi troppo intrecciati, quando si ammucchiano troppi interessi. “Dobbiamo accontentare tutti”, era la sua linea stando alle intercettazioni di altri indagati contenute nell’inchiesta della Guardia di Finanza. E poi c’è il profilo anche di gestione amministrativa che secondo i magistrati è contraddistinto da un “avvilente quadro di totale condizionamento della sanità pubblica da parte degli interessi privatistici e di vile asservimento a logiche clientelari politiche”, come scrive il gip. Qui dentro il governatore ha un ruolo centrale: “Detta le sue regole partitocratiche, trasmette i suoi elenchi, le sue ‘liste verdì, le sue direttive“. Indicazioni “sempre mediate”, perché l’uomo – dice ancora il giudice – “è accorto”. Nel concorso a 8 posti di assistente amministrativo indetto dall’Azienda sanitaria materana – riservato ai disabili -, ad esempio, i “suoi” nomi sarebbero quelli contenuti in quella che gli investigatori chiamano “lista verde“: non è stato lui a redigerla, ma la presidente della Commissione Maria Benedetto: “Quelli verdi – dice – sono di Pittella… Non sono in ordine alfabetico, non vorrei che mi sfuggano”. Laddove non arriverà la concretezza del reato, insomma, servirebbe una valutazione sull’opportunità.