di Monica Rota* ed Eleonora Morosini**
Il fenomeno del caporalato è molto diffuso nel nostro Paese e coinvolge prevalentemente lavoratori stranieri, costituendo il vero business dell’immigrazione. Il terzo rapporto Agromafie e caporalato del maggio 2016, realizzato dall’osservatorio Placido Rizzotto della Flai–Cgil, denuncia che in Italia sono tra 400 e 430 mila i lavoratori irregolari impiegati soltanto nel settore agricolo, di cui 100 mila versano in condizioni di sfruttamento e grave vulnerabilità.
Il primo strumento normativo predisposto dal legislatore italiano contro tale piaga sociale risale al 2011, a seguito dell’emanazione del decreto-legge 138, successivamente convertito nella legge 148, con cui è stato introdotto nel Codice penale l’articolo 603 bis. Tale norma disciplina il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, fornendo copertura giuridica a situazioni che precedentemente non trovavano tutela all’interno del nostro ordinamento, se non nei casi più gravi riconducibili ai reati di riduzione in schiavitù, violenza privata, estorsione e lesioni personali.
Al reato di schiavitù, disciplinato dall’articolo 600 C.p., fa peraltro implicitamente riferimento la clausola di sussidiarietà con cui si apre l’articolo 603 bis e che esclude l’applicabilità della stessa norma qualora il fatto verificatosi integri un più grave reato; circostanza che, seppure sconcertante, non è inverosimile, come testimonia il racconto agghiacciante (riportato da Repubblica) di una sindacalista e riportato dalle cronache, relativo all’incontro con un bracciante straniero che portava i segni dell’anello con cui era stato incatenato dal suo caporale.
Gli stranieri, con o senza permesso di soggiorno – come sottolinea la sociologa Annalisa Dordoni -, si trovano in una condizione di estrema ricattabilità, favorita dalla vigente normativa in materia di immigrazione, che contribuisce allo sviluppo di fenomeni di sfruttamento e riduzione in schiavitù dei lavoratori. L’articolo 603 bis C.p. ha dunque avuto il merito di introdurre all’interno dell’ordinamento giuridico italiano il reato di caporalato che, tuttavia, (secondo la formulazione originaria della norma) si configurava soltanto in presenza di un’attività organizzata di intermediazione, svolta “reclutando manodopera o organizzandone l’attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori”.
Con l’emanazione della legge n. 199 del 2016, in questi giorni oggetto di critiche da parte del ministro Matteo Salvini, è stata apportata una rilevante modifica della fattispecie delittuosa, ritenuta tale a prescindere dalla forma – organizzata o meno – dell’attività di intermediazione e indipendentemente dalle modalità, violente, minatorie o intimidatorie, che caratterizzano lo sfruttamento dei lavoratori.
Un’altra fondamentale novità introdotta dalla legge n. 199 del 2016 consiste nella previsione di una responsabilità penale in capo al datore di lavoro che “utilizza, assume o impiega manodopera”, anche (ma non necessariamente) mediante l’attività di intermediazione del caporale, “sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno”. Tale previsione rappresenta un importante potenziamento degli strumenti giuridici predisposti dal legislatore per la lotta al caporalato poiché, consentendo la condanna degli “utenti finali” di tale prassi criminale, potrebbe condurre a una riduzione della domanda di lavoratori-schiavi e rendere meno remunerativa l’attività di intermediazione illecita di manodopera.
La stessa disposizione ha inoltre contribuito a contenere le preoccupazioni destate dalla precedente riforma della somministrazione di lavoro operata dal Jobs Act, che, abrogando l’articolo 28 del decreto legislativo n. 276 del 2003, disciplinante il reato di somministrazione fraudolenta, aveva suscitato timori circa un arretramento dell’ordinamento giuridico italiano nella repressione di utilizzazioni illegittime di tale istituto.
Ancora, vanno segnalate tra le novità di rilievo introdotte dalla legge del 2016:
1. la previsione di un controllo giudiziario dell’azienda presso cui è stato commesso il reato disciplinato dall’articolo 603 bis, qualora sussistano le condizioni per procedere al sequestro ma vi sia il rischio che l’interruzione dell’attività imprenditoriale comporti ripercussioni negative sui livelli occupazionali o comprometta il valore economico del complesso aziendale;
2. la predisposizione di misure a sostegno e a tutela del lavoro agricolo e, in particolare, il potenziamento della Rete del lavoro agricolo di qualità, che raccoglie e certifica le aziende virtuose.
Con riguardo alla Rete del lavoro agricolo di qualità, l’ingegnere ed ex bracciante Ivan Sagnet, portavoce durante l’importante sciopero alla masseria Boncuri di Nardò contro i caporali e gli imprenditori agricoli, ha sottolineato la funzione fondamentale di tale strumento in un’ottica di prevenzione dei reati disciplinati dall’articolo 603 bis C.p. e ha affermato – in una prospettiva condivisa dal sindacato – la necessità non certo di abrogare la legge 199 del 2016, come sostenuto dal neo ministro, bensì di applicarla e potenziarla.
Gli effetti positivi prodotti da tale legge risultano evidenti dal rapporto annuale dell’attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale dell’Ispettorato nazionale del lavoro del febbraio 2018: sono stati infatti individuati 5mila 222 lavoratori irregolari durante le ispezioni effettuate nel 2017 e 387 vittime di sfruttamento in agricoltura per mezzo dell’attività di polizia giudiziaria; sono, inoltre, stati emessi 360 provvedimenti di sospensione di attività imprenditoriali, di cui 312 successivamente revocati a seguito di regolarizzazione. La normativa si è dunque rivelata efficace sul piano repressivo e ha favorito percorsi di regolarizzazione; si auspica da più parti un potenziamento degli strumenti di prevenzione in grado di eliminare alla radice un fenomeno criminale che, oltre a violare la dignità e i diritti dei lavoratori, altera il mercato nazionale, affossando le imprese virtuose.
* Avvocata giuslavorista, socia AGI (Associazione Giuslavoristi Italiani) e socia Comma2. Vivo e lavoro a Milano, ho due figli. Ho sempre esercitato la professione a favore delle lavoratrici e dei lavoratori. Da sempre interessata alla questione delle pari opportunità e delle discriminazioni, collaboro con la Consigliera Regionale di Parità e con la Consigliera di Parità della Città Metropolitana.
** Praticante avvocato presso lo studio degli Avvocati Rota e Bonsignorio. Mi sono laureata con lode presso l’Università degli Studi di Bologna con una tesi intitolata “La contenzione del paziente psichiatrico nell’esperienza italiana. La prospettiva del biodiritto penale”. Durante il percorso universitario ho svolto attività volontariato presso il carcere Dozza di Bologna e un tirocinio curriculare presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna – sezione penale.