Il nome di Stefano Cucchi cancellato con il bianchetto. Per questo mancano le tracce scritte del passaggio del geometra romano dalla compagnia Casilina per gli accertamenti fotosegnaletici e dattiloscopici durante l’arresto. “Una pratica non regolare“, hanno ribadito alcuni carabinieri in servizio il 15 ottobre 2009, data dell’arresto di Cucchi, ascoltati alla Prima Corte d’Assise di Roma nell’udienza del processo che vede imputati cinque carabinieri dopo che l’inchiesta bis sulla morte era stata chiusa il 17 gennaio 2017 con l’ipotesi che il geometra fosse stato pestato dai militari dell’Arma che lo avevano fermato. Durante l’udienza è emerso anche che Raffaele D’Alessandro, uno dei carabiniere accusati, nel 2013 fu spostato di mansione e destinato ad un incarico in ufficio dopo una segnalazione della ex moglie, preoccupata perché potesse compiere gesti estremi.
Il nome cancellato – Sul registro dei fotosegnalamenti, un rigo è cancellato con il bianchetto: sotto alla casella con il nome di Misic Zoran si intravede, eliminato successivamente, quello di Stefano Cucchi. “Non è una pratica normale, può capitare che il fotosegnalamento non avvenga per problemi ai sistemi informatici, ma in genere si cancella il nome con una riga orizzontale, non con il bianchetto”, ha spiegato uno dei carabinieri ascoltati. Una tesi confermata anche da un altro suo collega ascoltato in udienza. Nel registro ci sarebbero comunque altri nomi cancellati parzialmente con bianchetto, ma il pm Giovanni Musarò ha fatto notare che quello di Cucchi è interamente cancellato. La caserma della Casilina è quella dove, secondo i magistrati, è avvenuto il pestaggio.
Il processo – Sono cinque i militari imputati: Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco, rispondono di omicidio preterintenzionale (mentre è prescritto l’abuso di autorità, e la Cassazione ha rigettato il ricorso per l’assoluzione dei carabinieri: “Misure talmente brutali da produrre quelle gravissime conseguenze” ). Tedesco risponde anche di falso nella compilazione del verbale di arresto di Cucchi e calunnia insieme al maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti a capo della stazione Appia, dove venne eseguito l’arresto. Vincenzo Nicolardi, anche lui carabiniere, è accusato di calunnia con gli altri due, nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria che vennero accusati nel corso della prima inchiesta sul caso.
La testimonianza di Casamassima – Il processo ai cinque militari è entrato nel vivo nelle ultime settimane con la testimonianza del carabiniere Riccardo Casamassima. Nonostante avesse paura a causa delle pressioni ricevute negli ultimi tempi e denunciate in un’intervista al Fatto Quotidiano l’appuntato scelto si è presentato in aula e ha ripetuto le parole messe a verbale davanti al pm Giovanni Musarò. Dichiarazioni che hanno fatto riaprire il caso Cucchi. “Nell’ottobre 2009, il maresciallo Roberto Mandolini si è presentato in caserma: mi confidò che c’era stato un casino perché un giovane era stato massacrato di botte dai ragazzi, quando si riferì ai ragazzi l’idea era che erano stati i militari che avevano proceduto all’arresto”, ha detto Casamassima davanti alla corte d’Assise. Dopo la sua testimonianza, il carabiniere ha denunciato in un video su Facebook di essere stato trasferito e demansionato.
Carabiniere imputato minacciò suicidio – Raffaele D’Alessandro nel 2013 fu destinato ad un incarico in ufficio dopo una segnalazione della ex moglie Anna Carino, preoccupata perché potesse compiere con gesti estremi verso se stesso o la famiglia. E’ quanto emerso davanti alla Prima Corte d’Assise di Roma nell’udienza del processo. In particolare, la ex moglie dell’imputato avrebbe riferito a un superiore di D’Alessandro un episodio durante la loro fase di separazione in cui l’uomo avrebbe minacciato il suicidio con la pistola. Un mese fa la donna ai giudici ha dichiarato: “Mi disse che la notte dell’arresto Cucchi era stato pestato, aggiungendo: ‘C’ero pure io quante gliene abbiamo date‘”.