di Alessandro Villari

“Ci puoi trovare in ogni angolo del mondo, osserviamo, ascoltiamo, analizziamo, siamo dappertutto e vediamo tutto, noi siamo membri del più grande gruppo di scommesse sportive online al mondo”. Questo messaggio un po’ inquietante, a metà tra Fight Club e Grande Fratello, compare ossessivamente negli intervalli delle trasmissioni sportive per reclamizzare una nota impresa dell’azzardo. La frase fotografa, certamente oltre le intenzioni di chi l’ha concepita, l’influenza onnipervasiva del mondo dell’azzardo liberalizzato nello sport in generale e nel calcio in particolare.

Metà serie A vanta generosi contratti commerciali con official betting partners che riversano nelle casse delle società fino a un milione per ciascun accordo. Ma è soprattutto indirettamente che l’industria dell’azzardo finanzia il calcio, attraverso la raccolta pubblicitaria che rende così appetibili i diritti televisivi. A giugno il diritto di trasmettere partite di Serie A per il triennio 2018-2021 è stato acquistato per circa un miliardo: mancano dati ufficiali che quantifichino l’incidenza delle pubblicità del betting su questa somma, ma a quanto pare la Lega di Serie A li sta preparando per dimostrare quanto siano indispensabili alla sopravvivenza del “sistema calcio”.

Il Report Calcio 2018 della Figc stima un valore delle scommesse su eventi calcistici superiore a 8 miliardi (dati 2017): una torta colossale che spiega reazioni rabbiose di operatori dell’azzardo, istituzioni e società calcistiche contro il “divieto di pubblicità di giochi e scommesse” contenuto nel “Decreto Dignità”.

La norma vieta, dall’entrata in vigore del decreto, “qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi e scommesse con vincite di denaro, comunque effettuata e su qualunque mezzo. […] Dal 1° gennaio 2019 il divieto di cui al presente comma si applica anche alle sponsorizzazioni di eventi, attività, manifestazioni programmi, prodotti o servizi e a tutte le altre forme di comunicazione di contenuto promozionale”. Il divieto tuttavia non si applica ai contratti di pubblicità in corso, che proseguiranno fino alla scadenza.

Tale divieto è da sempre una rivendicazione del movimento anti-azzardo. Rispetto ad altre dipendenze, quella dall’azzardo ha nella promozione la principale fonte di reclutamento: perciò la pubblicità di “giochi” e scommesse è tanto martellante e pervasiva su tutti i media. Vietarla è un primo passo necessario: la misura prevista nel Decreto Dignità va salutata positivamente.

Ciò non c’impedisce di evidenziare i limiti di un provvedimento che peraltro, mentre scriviamo, ancora non è stato controfirmato da Sergio Mattarella. Superato (forse!) lo scoglio del Quirinale, dovrà affrontare il dibattito parlamentare per essere convertito in legge entro 60 giorni pena la sua inefficacia. In vista di questa fase le lobby stanno mobilitando i loro alfieri: se neppure i lettori de Il Giornale sembrano convinti dalle grossolane argomentazioni di Nicola Porro (stando ai commenti), fa effetto la chiamata alle armi de La Gazzetta dello Sport dei “22 milioni di tifosi di calcio” invitati a preoccuparsi per le sorti delle loro squadre private dei proventi delle scommesse. Questo appello potrebbe trasformarsi in autogol: se il fronte delle lobby cerca sponde nel timore dei tifosi che le formazioni italiane divengano meno competitive delle straniere, il movimento contro l’azzardo liberalizzato dovrebbe cercare di saldarsi con quel settore crescente di sportivi che guardano con preoccupazione agli effetti della privatizzazione e della finanziarizzazione del calcio professionistico: fallimenti di squadre importanti, costante rincaro dei biglietti, commercio più o meno fraudolento delle plusvalenze, scandali del calcio-scommesse.

La campagna si intensificherà quando si giocherà in Parlamento la partita per sterilizzare il decreto attraverso gli emendamenti. Uno dei principali argomenti messi in campo sarà quello del gettito fiscale. Questo argomento non vale in realtà per le scommesse sportive, cui si applica dal 2016 un’aliquota media del 20% alla sola differenza raccolta-vincite; a fronte di una raccolta complessiva di oltre 8 miliardi dalle scommesse sul calcio, l’erario incassa circa 192 milioni (dati Figc 2017). Ma complessivamente il prelievo tributario sull’azzardo ormai sfiora i 10 miliardi annui (la parte del leone la fanno i “giochi di nuova generazione”, in particolare slot e VLC): una vera e propria dipendenza per le casse dello Stato.

Per noi lo Stato dovrebbe trovare altrove le risorse per funzionare (e per funzionare meglio!), non da un’industria che non produce nulla se non conseguenze sociali devastanti. L’efficacia del decreto, ossia la convinzione con cui il governo pensa di difenderlo dagli emendamenti prima e di applicarlo poi, si potrà misurare oggettivamente dalle coperture finanziarie che saranno previste per il minor gettito conseguente al divieto di pubblicità. Dovessero spacciarlo per un provvedimento a costo zero o quasi, sapremo già che la sua efficacia sarà nulla.

Il movimento contro l’azzardo liberalizzato, che con il consenso di massa ottenuto in questi anni ha il merito per quanto di buono è attualmente previsto nel Decreto Dignità, non può delegare questa battaglia a un governo che si è già dimostrato su altri terreni forte con i deboli e debole coi forti. Bisognerà dalle prossime settimane difendere gli elementi progressisti del provvedimento, pretendendone l’applicazione rigorosa e rivendicando ulteriori misure ben più radicali: espellere le multinazionali da questo settore, allestire una exit strategy per i giocatori compulsivi, estinguere la presenza dell’azzardo sul territorio.

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