Cronaca

Attivista no vax condannata, manifestare è lecito. Diffondere dati falsi sui vaccini no

A quanto pare, i vaccini sono finiti anche in un’aula di giustizia penale. E hanno provocato una prima condanna, per il reato di “procurato allarme. Premessa doverosa: chi scrive conosce questa vicenda solo tramite gli articoli dei media; quindi, eviterà accuratamente di addentrarsi in qualsiasi valutazione di merito della vicenda processuale. Le sole considerazioni, di natura esclusivamente giuridica e generale, che si abbozzeranno in questo pezzo saranno fondate sulle ridotte informazioni che forniscono le stesse notizie di stampa; sull’ovvio presupposto che esse siano fondate.

Ciò posto, c’è un primo possibile equivoco che appare necessario fugare da subito: non sono state processate né tanto meno condannate “le idee” della signora autrice del manifesto. E’ stata condannata la menzogna (termine che è di gran lunga preferibile a quello di “fake”: non foss’altro perché così tutti, ma proprio tutti, ne colgono pienamente il senso) che ella ha propalato e che ha “procurato l’allarme” presso l’Autorità, che nel caso di specie sarebbe la Asl: 21.658 segnalazioni sospette spacciate per 21.658 bambini lesi dai vaccini.

La differenza è tanto semplice quanto discriminante: un’idea, una posizione ideologica, una valutazione politica o culturale non richiamano né comunicano, per definizione, un dato oggettivo, un’evidenza scientifica, per restare al caso di specie. Una menzogna è la falsificazione, la distorsione, se non proprio l’invenzione, di un dato di realtà: fattuale, numerico, scientifico. Con la conseguenza che il dato “tarocco” viene contrabbandato per vero. Il codice penale, nel reato in questione, descrive – e punisce – questa condotta come quella di chi “annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti suscita allarme presso l’Autorità o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio”.

Nella pratica giurisprudenziale, sono acquisiti i principi per cui “l’annuncio” è ogni trasmissione a terzi di notizie o informazioni, può riguardare qualsiasi ambito e può avvenire con qualunque modalità, purché abbia ad oggetto un disastro, infortunio o pericolo inesistente.

Peraltro, dalla Cassazione è stata ritenuta sufficiente la mera idoneità dell’annuncio a provocare l’allarme presso l’Autorità, indipendentemente dall’effettivo verificarsi di quest’ultimo.
Non c’è, quindi, alcuna ragione per la quale ad una norma penale di questa ampiezza debba sottrarsi il comportamento di chi commissiona l’affissione di una serie di manifesti sei metri per tre riportanti notizie, “dati” platealmente falsi in una materia così nevralgica come quella dei vaccini. Tanto falsi che poi, a quanto si legge, li riconoscono in quanto tali anche gli ideatori della geniale campagna pubblicitaria. E sul punto un’ultima precisazione può essere opportuna.

Contrariamente a quanto si legge in alcuni articoli un po’ “naif” (come spesso accade quando si narra di diritto penale sui media) dedicati alla questione, l’autrice del reato non è stata condannata, nonostante avesse “fatto ammenda” per l’errore commesso, perché la Asl ha comunque “insistito” per la punizione della stessa. Più semplicemente, il reato in questione è una contravvenzione e, in quanto tale, è procedibile d’ufficio. In pratica, una volta partito, anche su esposto – denuncia di un privato, quel procedimento non è più nella disposizione del denunciante, che quindi non può più fermarlo: esso deve proseguire il suo corso fino alla sentenza.

Il reato di procurato allarme è stato usato, in passato, per perseguire fini poco nobili: per esempio, di repressione mirata di qualcuno che turbava, non già il corretto espletamento dei compiti funzionali dell’amministrazione pubblica o la pubblica tranquillità, ma gli affari non troppo limpidi di qualche soggetto, pubblico e/o privato, a spese dell’ambiente e della salute pubblica.
Ma, nella sua applicazione fisiologica, quella norma conserva una sua indubitabile rilevanza e utilità sociale: per esempio, quella di garantire un’informazione scientifica corretta e limpida in una materia delicatissima come quella in questione, sgombrando il campo dalle patacche più marchiane e pericolose per l’incolumità pubblica.

Uno può credere – e pure “pubblicare” – anche che i vaccini facciano crescere le squame ai bambini; la nostra Costituzione sancisce la libertà di manifestazione del pensiero, non l’obbligo che questo abbia un coefficiente minimo di razionalità. Ma non può pensare di propalare dati scientifici a casaccio spacciandoli per quelli dell’Agenzia nazionale regolatoria dei farmaci. E’ una questione di salute pubblica.