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Elena Santarelli, il racconto della malattia del figlio Giacomo: “Non è detto che il tumore annienti la vita”

La malattia non l’ha cambiato molto, ha solo perso i capelli [...] Quando mio figlio dice che è più veloce di me ad asciugarsi i capelli, penso che, se scherza, abbiamo fatto centro”, il racconto commosso (e commovente) della showgirl al Corriere della Sera

di Giulio Pasqui

Elena Santarelli è una guerriera coraggiosa. Da quando ha saputo che suo figlio Giacomo deve combattere contro un tumore cerebrale, il 30 novembre 2017, giorno della diagnosi, non si è arresa neanche un secondo. Ha sempre cercato di non trattare il piccolo, 9 anni tra pochi giorni, da malato: non ha mai pianto davanti a lui, per esempio, e ha imparato a comportarsi “come se niente fosse”. La normalità prima di tutto: “A volte, mi chiedo: com’è possibile? Ma in certi frangenti, la forza arriva”.

“I primi giorni, stavo come una scappata di casa e non è da me. I bimbi sono astuti, ho capito che dovevo farmi la piega, mettere il solito rossetto, anche se mi sentivo giudicata, in ospedale, col rossetto. Ma ho fatto bene. Quando gli do un calcio nel sedere, bonariamente, non mi dice “mamma, ho il tumore”. La malattia non l’ha cambiato molto, ha solo perso i capelli […] Quando mio figlio dice che è più veloce di me ad asciugarsi i capelli, penso che, se scherza, abbiamo fatto centro”, il racconto commosso (e commovente) della showgirl al Corriere della Sera.

Quando la moglie dell’ex calciatore Bernardo Corradi, anche lui un battagliero seppur più silenzioso, racconta i dettagli di questa vicenda così bastarda viene voglia di abbracciarla. “Il momento più brutto è stato quando, di notte, con la torcia, andavo a raccogliere i capelli di Giacomo dal cuscino, per non farglieli trovare al mattino. Quei momenti erano una pugnalata. Metti al mondo un figlio e vuoi proteggerlo, ma non sai che puoi sentirti così tanto impotente […] Mi strapperei i miei capelli per darli a lui”.

È la prima volta che racconta la loro battaglia a un giornale, ma il suo obiettivo è ben preciso: dare speranza a chi, diversamente da loro, non ce l’ha. “Non è detto che un tumore annienti la vita. Ogni caso è diverso, ma mio figlio corre, mangia, ride, ha una vita normale al 60-80 per cento. Vorrei che le mamme avessero speranza […] Mi trovo a dare coraggio agli altri, ma anche io sono ancora nel mezzo del dolore, per quanto sia forte e veda anche gli aspetti positivi, che poteva andare peggio, che non abbiamo problemi economici…”. L’altra sfida, altrettanto importante, è chiedere aiuti alla ricerca per la Onlus Heal, che si occupa di neuroncologia pediatrica col Bambino Gesù di Roma, che ha in cura il figlio. E chissenefrega delle critiche (perché sì, c’è stato pure chi ha avuto il coraggio di criticare le scelte di una famiglia che lotta).

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