Dopo aver letto della decisione della Fifa di chiedere “alle emittenti televisive e alla troupe televisiva Fifa di ridurre le riprese di tifose attraenti durante le partite”, come atto di prevenzione di sessismo contro le donne e per via delle molestie contro le giornaliste che sono già avvenute da parte di un certo pubblico maschile, ho pensato ai vari sport privati della bella gnocca che in genere fa da contorno mentre si festeggia la vittoria in Formula 1, la donna bona come status aggiunto al tifo pro campione di calcio, la reggi cartello tra un round e l’altro durante le gare di pugilato. Per quelle che di quei lavori vivono tanto di cappello. Sono modelle e spero che le condizioni contrattuali per il loro mestiere siano più che ottime.

Lo scenario che ho immaginato è quello di un improvviso abbassamento della leva testosteronica che coinciderebbe magicamente alla sparizione delle donne. Le belle donne non faranno più da contorno nel servire lo sport come un piatto da portata con contorno di strafighe. E’ come perdere quel tot di soft porno, un porno cripto o neanche poi tanto. Di quelli che le associazioni per famigghie non notano perché il maschio è maschio e l’occhio deve pur godere di qualcosa. A proposito delle associazioni pro family (etero) c’è invece una gran bagarre quando vedono la modella scosciata a Sanremo. Il corpo femminile come valore aggiunto, per dare ai tifosi l’illusione di poter raggiungere quello status o di andarci il più vicino possibile, non le infastidisce affatto.

Pensate all’audience delle cronache sportive prive di corpo erotizzato. Andrebbe giù a picco, perché come la metti e metti la figa vende tanto. Non sono così tanto sicura che la decisione della Fifa possa però far sparire il sessismo dalla faccia della terra e oltretutto non ritengo che i corpi femminili o i loro volti siano da censurare per non irretire il povero maschio altrimenti innocente. La cultura sessista si costruisce in secoli di cultura sessuofobica e misogina che lega il corpo della donna – Eva – al peccato e il peccato al demonio. Nella decisione della Fifa vedo più il riflesso di un paternalismo che vuol togliere di mezzo la tentazione al fine di prevenire quelle inopportune conclusioni che passerebbero dalla vista di una bella donna al sessismo e alla molestia. Come fosse un dato direttamente proporzionale.

Se ne parlò molto ai tempi del femminismo moralista che voleva oscurare ogni manifesto pubblicitario, incluso quello che promuoveva un marchio di intimo femminile, in cui si vedeva una chiappa di femmina nuda. Ci volle del tempo per far comprendere che la vergogna, lo stigma, la colpa, quella che veniva attribuita alle modelle viste come “nemiche di tutte le donne”, soddisfaceva i preti prima che le donne in lotta contro il sessismo. Tutto ciò con una forte contraddizione alla fonte.

Da un lato le donne col velo (scusate la semplificazione) alle quali si diceva di scoprirsi e dall’altro le donne occidentali alle quali si diceva di coprirsi, per il loro stesso bene, perché non puoi scoprirti né fare certi lavori giacché le donne non si spogliano, il corpo è sacro e dalla sacralità del corpo femminile si passò al sacro femminino, il materno. Una “antisessista” che ha la testa colma di neuroni paternalisti non riuscirà a fare nulla se non aggirarsi sempre entro la stessa cultura contro cui pensa di star combattendo. E’ un circuito vizioso dal quale serve uscire se davvero si vuole combattere contro il sessismo.

La faccenda infatti andò così: le femministe moraliste si allearono coi paternalisti e insieme ci sfracassarono le ovaie presentando la donna con un corpo sacro, come colei che dà la vita. Così immaginavano di evitare che gli uomini, alla vista del ventre femminile, sebbene non gravido, pensassero colpevolmente ad un’erezione. Non puoi farti una sega se qualcun@ ti dice che quella lì, la tipa che ti piace, in realtà è la Madonna. Ti cadrà la mano e pure il pene. Forse anche altro. La chiudo qui perché ce ne sarebbe da dire.

Concludo in codesto modo: l’iniziativa della Fifa può essere animata da ottime intenzioni e se presa ad esempio da altre associazioni sportive e da giornalisti di ogni tipo potrebbe anche lasciar sortire, non come unica soluzione, il rispetto per tutte le donne, qualunque mestiere facciano e in qualunque maniera si vestano. Vorrei però che la Fifa, o chi come loro, ascoltassero una riflessione che arriva da molte donne che praticano antisessismo ogni giorno.

Noi sappiamo che non è la minigonna che stupra. A stuprare o molestare è lo stupratore e il molestatore. Togliere dalle grinfie di un violento l’immagine di una donna, oscurandola, coprendola, in maniera quasi ottocentesca, non gli impedirà di continuare a nutrirsi della cultura dello stupro, dei divieti e delle colpe di radice cattolica, che frustrano a tal punto la sessualità da far sì che in tanti la ritengano un peccato mortale, un tabù.

Se il sesso non fosse una cosa di cui vergognarsi, di cui non parlare, se non attraverso molesti e voyeuristici sguardi nei confronti dei corpi delle spettatrici di una partita di calcio e delle sportive stesse, quelle che per ogni medaglia vinta all’olimpiade ricevono solo un “però, che gnocca” o “insomma, però è cicciottella”. Se i corpi delle donne non fossero considerati peccaminosi, quali tentazioni degli uomini innocenti, come lo fu un certo Adamo, secondo fonti a noi non note. Se non si costruisse attorno alle donne una mentalità che impedisce a tutte di poter essere nude senza temere di apparire disponibili e consenzienti. Se non si pensasse che toccare il culo, la tetta, la coscia, di una donna, senza aver ricevuto il suo consenso, fosse normale. Se non si pensasse ancora oggi al corpo della donna come di una proprietà rivendicata perfino con il delitto d’onore, una proprietà del marito, del patriarca padre padrone o dello Stato.

C’è molto di più alla base della costruzione di una cultura sessista. Molto più che un’apparizione in tv che potrebbe aiutare l’erezione di uno spettatore, e tutto ciò senza che si consideri una colpa l’erezione in generale. C’è, per esempio, che non si dovrebbero trasmettere immagini di donne senza il loro consenso, senza una liberatoria e un lauto compenso. Perché censurarle? E’ l’uso commerciale della loro immagine che va messa in discussione e non l’immagine in sé. E’ il consenso di cui si deve sempre tenere conto, perché se riconosciamo a una donna il diritto di dare o non dare consenso all’uso della sua immagine forse potremmo sperare che la cultura del consenso si propaghi in tutto ciò che riguarda i nostri corpi.

Se poi dall’uso consensuale e commerciale dell’immagine di una donna si ricavano soldi, più audience, più introiti pubblicitari, bisognerebbe pensare ad un compenso. Perché perfino le comparse ricevono un pagamento. Perfino certi scribacchini che descrivono una campionessa olimpionica come fosse solo “gnocca” ricevono un pagamento. E questo si che è un gran peccato. Non pensate anche voi?

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