Secondo il racconto del comandante gridavano “no Libia, Libia, sì Italia“. E avrebbero circondato l’equipaggio, spintonando il primo ufficiale. Ma le testimonianze di alcuni dei 67 migranti sbarcati dalla Nave Diciotti rendono una sfumatura diversa di quanto accaduto: hanno avuto paura di poter essere rispediti in Libia e per questo è nata ansia e agitazione a bordo. Garantiscono che non volevano far del male a nessuno, e che, se a bordo della Vos Thalassa c’è stato nervosismo, è solo perché hanno avuto il terrore di non poter sbarcare in Italia.
“Non abbiamo aggredito nessuno, ci sono stati 5-10 minuti di grande confusione e paura, ma non volevamo fare del male ad alcuno. Eravamo terrorizzati, non volevamo tornare in Libia”. Sono cominciati questa mattina i primi interrogatori dei migranti sbarcati giovedì sera a Trapani dalla nave Diciotti della Guardia costiera dopo essere stati salvati dalla Vos Thalassa. Saranno sentiti da personale della squadra mobile della Questura, dello Sco della polizia di Roma e da militari del Nsi della guardia costiera. Tra loro anche il sudanese Ibrahim Bushara e il ghanese Hamid Ibrahim, i due indagati per violenza privata continuata ed aggravata in danno del comandante e dell’equipaggio del rimorchiatore.
La procura di Trapani vuole fare chiarezza sull’esatta dinamica di quanto è accaduto sulla Vos Thalassa dopo il soccorso dei migranti. L’equipaggio avrebbe detto di essersi sentito minacciato gravemente quando i migranti hanno scoperto che la nave li stava riportando indietro. Secondo la testimonianza del comandante gridavano “no Libia, Libia, sì Italia” e ci sarebbe stata una situazione di “grave pericolo“, con l’equipaggio circondato e spintoni al primo ufficiale. Così sono scattati i contatti con la sala operativa della capitaneria di porto di Roma, che ha inviato sul posto la Diciotti che ha effettuato il trasbordo. Cosa è successo esattamente però non è chiaro. “La situazione è stata pesantemente ingigantita. Non ci sono state insurrezioni né pestaggi“, spiegava il 13 luglio intervistato da La Verità Cristiano Vattuone, responsabile tecnico della Vroon Offshore service Srl, la società proprietaria del rimorchiatore. “Non c’è stato nessun ammutinamento“, ha detto.
I primi racconti dei migranti non smentiscono una certa confusione a bordo, ma ne spiegano le ragioni: avrebbero infatti supplicato con insistenza il comandante e l’equipaggio a non riportarli in Libia. Così la loro paura è stata scambiata con minacce. Potrebbe essere questa la discriminante determinante dell’inchiesta della Procura di Trapani. Paura e minacce reali o percezione accentuata anche dall’inferiorità numerica? Intanto il procuratore Alfredo Morvillo ha deciso che non esistono i presupposti per arrestare i due indagati che la polizia aveva denunciato anche per impossessamento della nave e minacce, nonostante le continue richieste di Matteo Salvini. Ma questo non significa che l’inchiesta sia chiusa. Anzi si allarga. Si cercano, per esempio, anche eventuali scafisti del gommone, e, secondo quanto si è appreso, accertamenti anche su questo fronte sono in corso sui due indagati in stato di libertà.
“Non abbiamo aggredito nessuno, ci sono stati 5-10 minuti di grande confusione e paura, ma non volevamo fare del male ad alcuno. Eravamo terrorizzati non volevamo tornare in Libia: eravamo pronti a tuffarci in mare e a rischiare la vita piuttosto che ritornare a terra”, raccontano alcuni dei 67 migranti, riportati da Sahar Ibrahim, operatrice italo-egiziana di Unicef/InterSos a bordo dalla nave della Guardia costiera italiana.
“Avevano solo paura di tornare in Libia, erano davvero spaventati, ma nessuna forte agitazione. Probabilmente c’è stato solo un problema di lingua perché nessuno di loro parla inglese”, ha spiegato l’operatrice. Lei conferma che molti di loro quando hanno capito che la nave dirigeva verso la costa hanno cominciato a urlare “No Libia, no Libia…”. “Ho parlato con donne e bambini – ha sottolineato Sahar – ma nessuno ha riferito di minacce o di aggressioni. Tutto, mi hanno detto, è durato 5 al massimo 10 minuti. Poi sono stati rassicurati e tutto è finito. Il viaggio è stato lungo, ma tranquillo“.