Nicola Zingaretti dà il via alla sua campagna elettorale per la segreteria del Partito democratico. E lo fa distribuendo un opuscolo in cui sono elencati i “100 fatti in 100 giorni” realizzati durante questi quattro mesi e mezzo passati dalla rielezione a presidente della Regione Lazio, avvenuta il 4 marzo scorso. Un ruolo privilegiato quello del governatore rispetto ai suoi potenziali competitor alla leadership del centrosinistra, vista la possibilità – guadagnata sul campo – di poter raccogliere gli atti amministrativi formulati da 10 assessorati e aziende partecipate varie. Non senza qualche stratagemma comunicativo, visto che almeno una ventina dei “100 provvedimenti approvati” appaiono essere proroghe, conferme e repliche di atti già proposti nello scorso quinquennio. Tra questi il bando “Torno Subito”, i progetti Sprar per i richiedenti asilo, la videosorveglianza per la città di Roma (si ricorderanno le polemiche sui fondi all’indomani dei fatti di Villa Borghese), il servizio civile e i fondi per le botteghe storiche e l’audiovisivo. Non mancano le ridondanze: su tutti il taglio dei vitalizi ai consiglieri regionali, indicato sia al punto 1 (e non è un caso) sia al punto 45 dell’elenco, seppur con sfumature diverse.

Ma nella corsa a occupare lo spazio a sinistra, vale tutto. E mai quanto in questa fase “il medium è il messaggio”, come insegnano i manuali di sociologia. Un sondaggio firmato Ize che gira fra le chat dei dem vede Nicola Zingaretti al secondo posto nell’indice di gradimento per il leader del nuovo centrosinistra, al 23,5% e preceduto di un niente (24,9%) solo dall’ex premier Paolo Gentiloni (staccatissimo Matteo Renzi, appena sopra il 10%). Il governatore ne ha piena coscienza e ha iniziato a curare la sua immagine, apparendo visibilmente dimagrito e vestito in maniera impeccabile. Il cavallo di battaglia è sempre lo stesso: il “modello Lazio”, la coalizione ampia stile Romano Prodi (dai centristi alla sinistra) resa ancora larga grazie al suo tipico ecumenismo, attitudine che oggi gli permette di trasformare la cosiddetta “anatra zoppa” – il centrosinistra non ha la maggioranza in consiglio regionale – in un “all-in” che vede Forza Italia e M5s partecipare a corrente alternata all’azione amministrativa. “È stata l’opportunità di andare oltre i confini politici, nel rispetto delle identità delle forze politiche. Non c’è un nuovo modello politico all’orizzonte o una nuova maggioranza, bensì una nuova cultura politica”, ha spiegato Zingaretti nella cornice del WeGil di Trastevere, annunciando il dialogo ben avviato con le “opposizioni” per l’approvazione a breve del collegato al bilancio. “Il Movimento 5 stelle fa dura opposizione e dura verifica sui temi delicati per dimostrare che anche nell’Italia dei conflitti si può lavorare bene”, ha quindi detto elogiando i penta stellati.

Applausi e sorrisi, dunque, ma anche insidie. Perché se Zingaretti decide di puntare sul suo ruolo di governatore del Lazio per scalare il Pd, sarà cosciente del fatto che non avrà nel Campidoglio un suo alleato. Nonostante il patto di non belligeranza col M5s alla Pisana. Il disgelo quasi raggiunto a marzo è un lontano ricordo. Virginia Raggi e il vicepremier Luigi Di Maio stanno lavorando ad una serie di provvedimenti che permettano al comune di scavalcare la Regione sui grandi temi, di fatto depotenziandola. E lo stesso capo politico pentastellato ha nominato i tre nuovi delegati del Movimento agli enti locali: sono Massimo Bugani, Ignazio Corrao e Valentina Corrado, i quali svolgeranno il ruolo di “tutor” di Virginia Raggi nella gestione dei fondi governativi, come facevano fino a pochi mesi fa i neo ministri Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro. In particolare, Corrado – molto amica di Raggi – spicca per essere l’unica consigliera regionale “ribelle” che non ha voluto seguire la linea morbida di Roberta Lombardi nel sostegno condizionato a Zingaretti. Anche questo non è un caso.

Scongiurate, invece, le tensioni interne al gruppo Pd della Pisana dopo l’acceso confronto con Matteo Renzi all’ultima assemblea dem. Almeno per ora. Tutte le componenti, infatti, hanno ottenuto incarichi consiliari in perfetto stile Cencelli e nelle prossime settimane si completeranno le assunzioni tecniche negli staff. Ma la maretta rimane. Alla vigilia dell’insediamento al Municipio III Montesacro, infatti, il neo minisindaco Giovanni Caudo (sostenuto indirettamente da Zingaretti) si è beccato la paradossale critica del deputato Claudio Mancini, braccio destro di Matteo Orfini, che l’ha diffidato dal definire la sua giunta “di sinistra”, vista la presenza di due assessori di area moderata, consigliandoli di utilizzare la locuzione “centrosinistra”. Schermaglie di poco conto, ma sintomatiche del clima che si respira nel Pd romano.

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