L’imprenditore Pjotr Ofitserov, amico e compagno di sventure giudiziarie dell’oppositore e blogger Alexei Navalny, è morto stanotte, in seguito a un’aggressione subita qualche giorno fa, senza che la notizia venisse diffusa, per non rovinare il clima festaiolo dei Mondiali. Era nato a Bishek, in Kirghizistan, aveva 43 anni. Lo ha comunicato la moglie Lida e l’hanno confermato i parenti, su Facebook.
Nel luglio del 2013 era stato condannato a quattro anni di carcere, al termine di un processo piuttosto controverso. Le accuse contro Navalny e il socio sapevano di montatura: riguardavano una presunta appropriazione indebita di 400mila euro, frutto di contratti di legname truccati (tramite la compagnia forestale di Vyatka “Ofitserov”), organizzati nel 2009 da Navalny quando era consigliere del governatore di Kirov. Ricordo che Ofitsev aveva rilasciato una lunga intervista a Novaja Gazeta, il giornale doveva aveva lavorato la povera Anna Politkovskaja, ammazzata il 7 ottobre del 2006 sulla soglia di casa. Allora ero corrispondente a Mosca per Repubblica e tutto ciò che riguardava Navalny era oggetto di molta attenzione. Ofitserov aveva rilasciato un’intervista alla Novaja Gazeta, per spiegare che le contestazioni erano pretestuose. Infatti molti dettagli, nell’inchiesta degli inquirenti, non quadravano, l’accusa stessa annaspava tra lacune e contraddizioni, tant’è che il caso aveva guadagnato l’attenzione dei media e delle cancellerie occidentali, le quali avevano esternato tutta la loro “preoccupazione” per lo stato di diritto in Russia. Ma Putin, come sempre, fingeva di essere estraneo a qualsiasi tipo di pressione: c’è un processo, se ne occupano polizia e magistratura…
Nei giorni che precedettero il processo, Navalny era riuscito a fare accettare la sua candidatura per partecipare alle elezioni del sindaco di Mosca. Il processo, guarda caso, era dunque il solo mezzo per impedirglielo. Non solo: al momento della sentenza che lo condannava a cinque anni di reclusione con effetto immediato, veniva ordinato l’arresto di Navalny, il quale veniva ammanettato. In poche ore si sono scatenate le proteste, e inscenate manifestazioni di piazza: il centro di Mosca finì per restare bloccato ore e ore, al punto che la magistratura è stata costretta a contestare il provvedimento cautelare la sera stessa. La prova di forza contro Navalny non aveva ottenuto consensi unanimi all’interno del regime putiniano, fu la conclusione di molti cremlinologi. Nessun dubbio sul carattere politico della sentenza. L’operazione per incastrare e delegittimare Navalny era stata rozza e maldestra nell’esecuzione: dovevano limitarsi ad accusarlo di furto, considerarlo cioè non un oppositore politico, bensì un ladro comune (“In Russia gli oppositori vengono sempre spacciati per criminali”, spiega l’ex oligarca Mikhail Khodorkovski, allora detenuto in un remoto carcere della Siberia). Dopodiché Navalny doveva essere condannato ma con la condizionale. Ottenendo due piccioni con una fava: impedirgli la corsa al municipio ed evitare di farne un martire.
Ora che il Mondiale sta per chiudere i battenti, si torna alla normalità. La triste vicenda di Ofitserov fa parte di quella normalità “vigilata” dalla verticale del potere che comanda in Russia. Per oltre un mese la gente ha potuto godere di tolleranze inedite, nelle grandi città coinvolte dal torneo. Un milione di turisti in un periodo così breve è stato non solo un record turistico, ma un’esperienza (positiva sotto molti aspetti) che lascerà tracce nella coscienza collettiva. In questi giorni, per esempio, mentre cresceva il ranking (Fifa) della Croazia, calava quello di Putin (indice di gradimento), dieci punti in meno non sono un dato da trascurare. Sui social, in rete, molti si sono chiesti: perché il suo rating è sceso? Perché per quattro anni siamo stati bombardati dalla propaganda che diceva: siamo circondati da nemici, dai fascisti, dai gay… e noi ci credevamo, o quasi. Però adesso gli stranieri sono venuti al Mondiale da noi, e abbiamo visto quanto sono simpatici e quanto siano rimasti stupiti dal nostro Paese, e da noi. Ci siamo conosciuti e ci siamo piaciuti. Pure uno stupido capirà d’essere preso in giro…
Già, gli stupidi. Come quei calciatori beccati perché indossavano scarpette non regolamentari, o soprascarpe di marche concorrenti degli sponsor ufficiali. Le “gabbie” contrattuali dei fornitori delle varie formazioni, sono severe e inflessibili durante gli eventi di così grande visibilità. Insomma, per farla breve, ieri la Fifa ha punito Croazia e Svezia a pagare ciascuna 50mila franchi svizzeri (42710 Euro). Sinora, e mancano le ultime due partite, la Fifa ha inflitto alle 32 squadre di Russia 2018 sanzioni per un totale di 787mila franchi svizzeri (672mila Euro), di cui 290mila Fsv. (248mila Euro) solo per scarpette irregolari.
Ma nessuno batte i cinesi, in fatto di azzardo e/o grullaggine commerciale. Per esempio, l’azienda Vatti di Shenzhen che sponsorizza la Francia e produce cucine: ha promesso ai suoi clienti cinesi il rimborso totale dei loro acquisti dal primo al 30 giugno se la Francia avesse vinto i mondiali. Evidentemente ci credeva poco… Mal gliene incolse. Via via che la Francia si avvicinava alla finalissima, il titolo in borsa è calato sino a far segnare un preoccupante -51,7 per cento. L’accordo con la federazione francese è che può utilizzare l’immagine della selezione nelle sue campagne promozionale: “Certo, ci costerà parecchio se dovesse vincere la Francia, come è probabile – ha detto Wang Zhaozhao, uno dei dirigenti, al quotidiano economico China Securities Journal – ma non subiremo grosse ripercussioni, nel nostro ultimo bilancio c’è una voce che lo prevede”. L’onere dell’onore.
Siamo quindi giunti agli sgoccioli. Belgio e Inghilterra dicono che faranno di tutto per conquistare la “piccola finale”. Nelle diciannove disfide per il terzo e quarto posto che hanno preceduto la partita di oggi, sono stati segnati ben 79 gol, oltre quattro reti a incontro. Nessuno dei quali è si è mai concluso ai rigori. Solo una volta, nel 1986, si è arrivati ai tempi supplementari: finì 4 a 2 per la Francia. Guarda caso, contro il Belgio. I Diavoli Rossi comunque torneranno in patria accolti come vincitori, ci sarà una grande festa alla Grand-Place di Bruxelles e la squadra sarà ricevuta da re Filippo. Gli inglesi celano delusione e mortificazione con sorrisi da gentlemen. Ma è tutta finzione. Come dice il presidente francese Macron che già pregusta l’inebriante emozione del trionfo, “una competizione è riuscita quando è vinta”. Monsieur Jacques Chabannes, signore di La Palisse non avrebbe saputo dire di meglio.