I familiari del geometra romano, arrestato per droga e spirato all'ospedale Pertini di Roma, hanno ricostruito i suoi ultimi giorni di vita e in che condizioni era quando gli annunciarono la morte: "Non l'ho riconosciuto. Quello che vedevo non era più Stefano era uno scheletro, tutto nero, un occhio di fuori, la mascella fratturata" ha ricordato la mamma
“Come è possibile che un ragazzo muoia in quel modo nell’ambito dello Stato? Quando l’ho visto, all’obitorio, non sembrava Stefano … ma un marine morto in Vietnam con il napalm“. Sono le parole di Giovanni Cucchi, padre di Stefano, testimone in aula nel processo che vede imputati cinque carabinieri: tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale. Il 31enne romano venne arrestato il 15 ottobre del 2009 in via Lemonia, a Roma, a ridosso del parco degli Acquedotti, perché sorpreso con 28 grammi di hashish e qualche grammo di cocaina. Quella notte, i carabinieri lo accompagnarono a casa per perquisire la sua stanza. Non trovando altra droga lo riportarono in caserma con loro e lo rinchiusero in una cella di sicurezza della casermaAppio-Claudio. La mattina successiva, nell’udienza del processo per direttissima, Stefano aveva difficoltà a camminare e parlare e mostrava evidenti ematomi agli occhi e al volto che non erano presenti la sera prima. Il giudice, nonostante le condizioni di salute del giovane, convalidò l’arresto, fissando una nuova udienza.
“Dopo l’arresto, non appena ci dissero che era al Pertini, noi andavamo tutti i giorni in ospedale, senza riuscire a vedere Stefano né ad avere notizie su di lui ma il fatto che stesse lì per noi era motivo di conforto perché anche se la situazione ci preoccupava era in mano ai medici e questo ci faceva pensare che lo avrebbero aiutato. Quel giovedì in cui ci hanno chiamato per dirci che era morto è stato uno shock. Dissero – aggiunge – che ‘Stefano si era spento…e le carte erano tutte a posto'”. “Sono stati dieci anni d’inferno – dice – Noi abbiamo fatto tutto il possibile. Stefano tutti gli sbagli che ha fatto li ha sempre pagati”. Dopo le comunità “per un anno andò tutto bene; pensavamo che il percorso fosse andato a compimento”. Poi, però, quella notte del 15 ottobre 2009, la perquisizione in casa, l’arresto e l’udienza di convalida. “In tribunale lo vidi pochi secondi – ha detto Giovanni Cucchi – Aveva il viso gonfio come una zampogna e gli occhi neri. Il mio problema però non era il fatto dell’arresto, ma quello della droga. Mi concentrai sul fatto che dovevo convincerlo ad andare in comunità, ma lui mi rispose due volte ‘Papà, ma lo vuoi capire che m’hanno incastrato?’“. E qualche giorno dopo la morte, il ritorno in casa di Stefano e la scoperta di una cassetta strana; la successiva perquisizione portò al ritrovamento di droga. “Denunciammo tutto all’Autorità giudiziaria. Io sono stato duro con Stefano sia in vita sia in morte, denunciando proprio questo fatto”.
Prima di lui aveva testimoniato anche Rita Calore, la madre: “La morte di un figlio è terribile, non ti potrai mai rassegnare. Non l’ho riconosciuto. Quello che vedevo non era più Stefano era uno scheletro, tutto nero, un occhio di fuori, la mascella fratturata”.
E la sera prima dell’arresto, forse un presagio. “Mio figlio mi disse ‘abbracciami, dormi tranquilla, vedi che adesso sto bene’. Fu l’ultimo abbraccio con mio figlio. Verso l’una di notte sentii suonare il citofono: erano i carabinieri che venivano per la perquisizione”. E il giorno dopo “mio marito andò in tribunale; al ritorno disse che Stefano era stato trattenuto. Era disperato. La prima cosa che mi disse fu che mio figlio l’aveva trovato gonfio in viso e pesto sotto gli occhi; e che forse qualche pugno glielo avevano dato”. L’ultimo giorno, la terribile notizia. “Due carabinieri mi consegnarono un foglio e poi uno mi disse ‘devo darle una brutta notizia: suo figlio è deceduto. È questo foglio è per nominare un consulente per l’autopsia. Come pazzi, con mio marito corremmo al Pertini. L’unica cosa che ci dissero fu: ‘Suo figlio si è spento'”.
Anche Ilaria Cucchi ha testimoniato, un racconto che la sorella: “Quando vidi Stefano all’obitorio, aveva il volto tumefatto, un occhio fuori dall’orbita, la mascella rotta. Aveva sul volto i segni della solitudine”. La donna ha ricostruito tutto il vissuto di questa vicenda, partendo dall’ultima volta che ha visto il fratello (due giorni prima l’arresto), e poi focalizzando l’attenzione anche sui problemi di tossicodipendenza del giovane. “In passato ebbe problemi di tossicodipendenza – ha detto – Nel 2004 decise di entrare in comunità di recupero in maniera autonoma. Sembrava si stesse riprendendo; ma a fine 2007 ebbe una terribile ricaduta“. Il processo è stato rinviato a settembre.