È così che si ripiomba nel buio. Con sentenze che non sono solo decisioni che faranno discutere. Ma pietre pesanti catapultate dall’alto su strade faticosamente tracciate verso percorsi di civiltà, su sentieri scavati con la lotta quotidiana alla reticenza e alla ritrosia delle vittime.

La giornata sul femminicidio (parola orribile, è vero, ma efficace nel definire un fenomeno mai descritto prima); le simboliche scarpe rosse; l’invito alla denuncia, sempre e comunque; la legge sullo stalking; la sensibilità – impensata solo qualche anno fa – scaturita all’idea del sopruso (sia esso molestia, sopraffazione, sfruttamento) con la nascita del movimento #MeToo e si potrebbe continuare, sono state tutte conseguenze di una temperie rinnovata, che nello Stato ha trovato un alleato, nelle forze dell’ordine un aiuto, nel coraggio della singola vittima il grimaldello necessario.

Nel pomeriggio di ieri si è aperta una ferita sulla sensibilità di chi tanto ha faticato negli ultimi anni per affermare un principio: No significa no, al di là di tutto. Con la sentenza 32462 della terza sezione penale la Corte di Cassazione fissa un precedente stabilendo che se la vittima di stupro è ubriaca per aver assunto volontariamente alcol, alla pena comminata ai suoi aguzzini non può essere aggiunta l’aggravante. Come dire: se bevi, ti ubriachi e non riesci ad “autodeterminarti”, il reato non comporterà per chi lo commette alcuna aggravante. Insomma, la pena per i violentatori non può essere inasprita.

Un tuffo nel buio del presente, oltre che in quello del passato, perché anche se siamo lontani dalla paradossale mancanza di reato stabilita dai giudici nel 1999, nel caso in cui la vittima di stupro avesse indossato jeans, l’alleggerimento (o addirittura l’annullamento delle aggravanti) l’avevamo felicemente dato per archiviato. Invece ci ritroviamo di fronte a una triste considerazione: quanto ancora è attuale quel processo per stupro che la Rai mandò in onda nel 1979.

Un pensiero su tutti, adesso, va dedicato non solo alle tante vittime di violenza subita. Ma anche ai centri antiviolenza, ai movimenti di supporto alle vittime di stupro, alle associazioni che per prime si trovano a raccogliere i cocci di donne seviziate dal branco. Continuiamo a lavorare, chi scrive e chi aiuta praticamente, perché la luce della ragione si faccia largo nel buio moderno piombato violento e contro ogni aspettativa. Perché le sue conseguenze potrebbero essere molto dolorose.

Chiara Lico è autrice di Cioccolato e Pistacchio, storia di Rossella: la vita dopo lo stupro.

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