“Il consumo di suolo nel 2017 continua a crescere in Italia e nell’ultimo anno le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 54 chilometri quadrati di territorio, ovvero, in media, circa 15 ettari al giorno. Una velocità di trasformazione di poco meno di 2 metri quadrati di suolo che, nell’ultimo periodo, sono stati irreversibilmente persi ogni secondo”. Presentato l’annuale Rapporto sul consumo di suolo in Italia realizzato dall’Ispra e dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente. Il Rapporto.

Notizie ancora una volta tutt’altro che buone.

“Sembrerebbe, quindi, che il rallentamento della velocità del consumo di suolo, iniziato una decina di anni fa, sia nella fase terminale e che, in particolare in alcune Regioni, si assista a una prima inversione di tendenza con una progressiva artificializzazione del territorio che continua a coprire irreversibilmente aree naturali e agricole con asfalto e cemento, edifici e fabbricati, strade e altre infrastrutture, insediamenti commerciali, produttivi e di servizio, anche attraverso l’espansione di aree urbane, spesso a bassa densità”. Il Rapporto è quasi una condanna, senza più più appelli. D’altra parte di tempo ce n’è stato.

Di occasioni ne sono state polverizzate un’infinità. Ad avere responsabilità, tutto il Paese, anche se con naturali eccezioni, poche a dire il vero. Anche se con importanti distinguo. Dal piccolo abuso a quello grande. Dall’amministratore locale di un piccolo centro che ha chiuso un occhio per favorire la costruzione non autorizzata, al governo nazionale che tra innumerevoli annunci non ha prodotto alcuna legge sul consumo di suolo. L’unico strumento realmente efficace per invertire la folle tendenza. Tra i due estremi i governi regionali che, tra Piani casa approvati e Piani paesaggistici promessi, ma irrealizzati, hanno fatto scempio troppe volte di territori e città.

Sostanzialmente permettendo l’impossibile. Al Sud, coste invase da strutture recettive, al servizio del turismo, come le chiamano i governatori. In realtà Hotel a 5 stelle e resort, nuovi e più grandi porti e campi-boa. Al nord montagne nelle quali gli impianti di risalita si raddoppiano, mentre le precipitazioni nevose si fanno sempre più scarse. Ma anche corsi d’acqua deviati per essere più funzionali a nuove centrali elettriche. Nelle grandi città, ma anche in quelle di minori dimensioni, nuove aggiunte. Interi quartieri, oppure semplici palazzi. Centri commerciali sistemati dove più conviene. Discariche progettate in cave abbandonate oppure in vicinanza di aree abitate e di siti archeologici. Parchi eolici e impianti geotermici che mortificano tante aree del Centro-Sud.

Uno sfacelo del quale siamo tutti responsabili. Tutti, a partire dai ministri dei governi che si sono succeduti da quello di Mario Monti, fino a quello Gentiloni, passando per quelli Letta e Renzi. Prima di Monti, cioè del governo in carica tra novembre 2011 e aprile 2013, non si può andare. Non perché non si siano commesse nefandezze di ogni tipo, ma perché una certificata coscienza dei problemi connessi al consumo di suolo non c’era. E’ con la proposta di “Legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo” avanzata dal ministro Catania, che quella coscienza ha avuto spazio. E’ uscita allo scoperto. Peccato che il ministro dell’Ambiente e Tutela del territorio e del mare non ce l’abbia fatta. Peccato che tra tentativi promessi, ma senza seguito, e nuove proposte quella legge non ci sia.

Peccato che l’intero arco costituzionale dal 2011 ad oggi non abbia ritenuto una priorità assicurare al Paese uno strumento per renderlo più sicuro, meno esposto al rischio idrogeologico. Denunce ed esposti, dati incontrovertibili non sono stati ritenuti elementi sufficienti per invertire la rotta. E’ evidente.

“Il Rapporto mostra una crescita giornaliera del fenomeno che non sembra risentire dell’attuale congiuntura economica e continua a mantenersi intorno ai 70 ettari al giorno, con oscillazioni marginali intorno a questo valore nel corso degli ultimi venti anni. Si tratta di un consumo di suolo pari a circa otto metri quadrati al secondo che continua a coprire, ininterrottamente, notte e giorno, il nostro territorio con asfalto e cemento, edifici e capannoni, servizi e strade, a causa dell’espansione di aree urbane, spesso a bassa densità, di infrastrutture, di insediamenti commerciali, produttivi e di servizio, e con la conseguente perdita di aree aperte naturali o agricole. In termini assoluti, si stima che il consumo di suolo abbia intaccato ormai quasi 22.000 chilometri quadrati del nostro territorio”. Il primo Rapporto dell’Ispra, nel 2014, era già eloquente. Ma non è servito. Nonostante fosse più che evidente che fosse necessario partire proprio da lì. Dai dati.

Progresso, modernizzazione, rilancio dell’economia ed efficentizzazione. Sono questi i passepartout utilizzati nei consigli comunali ed in quelli regionali e poi alla Camera e al Senato per promuovere progetti che rubano suolo alle comunità. Progetti che promettono sempre molto ma restituiscono poco.

“A una svolta, la città apparve, laggiù in fondo, distesa senza contorni, sulla grigia ragnatela delle vie“. Al Marcovaldo di Calvino la città appariva così, osservata da lontana. Sembra questo il modello di consumo di suolo che si continua ad inseguire. Quello di città sempre più distese. Sempre più senza contorni.

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