Nell’ultimo rapporto semestrale della Direzione Investigativa Antimafia si legge che in alcune aree della Capitale ci sono formazioni criminali che, "basate su stretti vincoli di parentela, evidenziano sempre di più modus operandi assimilabili alla fattispecie prevista dall’articolo 416 bis". Il successore del capo dei capi? "Improbabile che sia Matteo Messina Denaro. Le famiglie tenderanno a una gestione collegiale"
Il blitz contro il clan dei Casamonica risale solo ai ieri. E non si fatica a credere che “nella Capitale, tra i gruppi criminali, si evidenziano sempre di più organizzazioni assimilabili al modus operandi di associazioni mafiose, come quelle in Sicilia, Calabria e Campania“. Nell’ultimo rapporto semestrale della Direzione Investigativa Antimafia si legge che in alcune aree della Capitale ci sono formazioni criminali che, “basate su stretti vincoli di parentela, evidenziano sempre di più modus operandi assimilabili alla fattispecie prevista dall’articolo 416 bis”.
“Realtà romana particolarmente complessa per le infiltrazioni”
“Gli esiti investigativi e giudiziari degli ultimi anni – si legge ancora nel documento della Direzione investigativa antimafia – continuano, infatti, a dar conto di una realtà, quella romana, particolarmente complessa sotto il profilo delle infiltrazioni criminali, che vedono all’opera qualificate proiezioni delle organizzazioni di tipo mafioso italiane (siciliane, calabresi e campane in primis), che sono riuscite agevolmente ad adattarsi alle caratteristiche socio-economiche del territorio di elezione. All’occorrenza, queste compagini criminali sanno perfettamente intersecare i propri interessi non solo con i sodalizi di matrice straniera, ma, anche, con le formazioni delinquenziali autoctone che, pur diverse tra loro, in termini di modello strutturale e di azione connessa all’esercizio del potere criminale, hanno adottato il modello, organizzativo ed operativo, di tipo mafioso, per acquisire sempre più spazi nell’ambiente territoriale di riferimento”.
“Dopo la morte di Riina rischio atti di forza”
Dal Lazio alla Sicilia. Dopo la morte di Totò Riina si è “protratta la fase di riorganizzazione degli equilibri interni alla criminalità organizzata siciliana, nell’ambito della quale si registrano una latente conflittualità e tentativi di alleanze tra le consorterie. La scomparsa di Salvatore Riina costituisce, in tale contesto, un elemento da tenere in debita considerazione, perché foriero di sviluppi ancora non ben delineabili”. Una situazione, scrive la Dia, “caratterizzata dal rischio di forti tensioni che potrebbero sfociare in atti di forza, con pericolose ripercussioni nell’immediato”. Improbabile, si legge ancora nel rapporto, che a succedere a Riina sia Matteo Messina Denaro, – su cui è incessante il pressing delle forze dell’ordine – “pure essendo egli l’esponente di maggior caratura tra quelli non detenuti, ed in grado di costituire un potenziale riferimento, anche in termini di consenso, a livello provinciale”, in quanto, secondo la Dia, “i boss dei sodalizi mafiosi palermitani, storicamente ai vertici dell’intera organizzazione, non accetterebbero di buon grado un capo proveniente da un’altra provincia“. Inoltre, negli ultimi anni Messina Denaro “si sarebbe disinteressato delle questioni più generali attinenti cosa nostra, per poter meglio gestire la latitanza e, semmai, gli interessi relativi al proprio mandamento ed alla correlata provincia”.
“In Cosa nostra struttura di tipo collegiale”
Chi comanda dunque oggi la piovra? Il rappordo della Dia conferma quanto raccontato dal fattoquotidiano.it dopo la morte del capo dei capi. “Cosa nostra – spiegano gli analisti dell’intelligence antimafia – tenderà ad una gestione operativa di tipo collegiale, in linea di continuità con la strategia perseguita negli ultimi anni. A tale scopo, potrebbe continuare ad avvalersi di un organismo provvisorio, costituito dai capi dei mandamenti palermitani più forti e rappresentativi, con funzioni di consultazione e raccordo strategico, in grado di esprimere – anche con riflessi sulle consorterie mafiose delle altre province siciliane – in via d’urgenza ed immediata, una linea-guida per finalizzare utilità economiche nell’interesse comune dell’organizzazione, della quale preservare comunque la struttura unitaria e verticistica”. Per la Dia, però, questa è solo una situazione momentanea perché “in prospettiva, è veritiero attendersi la creazione di un nuovo vertice. Le famiglie avvertono, infatti, la mancanza di una vera e propria struttura di raccordo sovra-familiare, nonché il bisogno di ricostituire gli organigrammi e la rete di potere che un tempo le caratterizzava. La capacità di imporre il rispetto di regole condivise è l’elemento
su cui si decide la futura sopravvivenza a lungo termine dell’organizzazione”.
“Mafie stranieri puntano a traffico migranti”
Per le organizzazioni criminali straniere in Italia “il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, con tutta la sua scia di reati ‘satellite’, per le proporzioni raggiunte, e grazie ad uno scacchiere geo-politico in continua evoluzione, è oggi uno dei principali e più remunerativi business criminali, che troppe volte si coniuga tragicamente con la morte in mare di migranti, anche di tenera età”. Sono coinvolti “maghrebini, soprattutto libici e marocchini, nel trasporto di migranti dalle coste nordafricane verso le coste siciliane”.