Il giocatore dei Memphis Grizzlies - fratello dell'ex Laker, Pau, e nazionale spagnolo come lui - era a bordo della nave della Ong catalana che martedì ha denunciato l'inefficienza della Guardia Costiera libica accusandola di aver abbandonato Josephine e una mamma con il figlio piccolo, poi morti, al largo delle coste di Tripoli. Il cestista al El Pais: "Scioccato dalla foto del piccolo Aylan circolata nel 2015. Da allora ho deciso di fare la mia parte"
Il caschetto in testa e le mani sotto le spalle di Josephine, la migrante sopravvissuta per 48 ore da sola nel Mediterraneo. Un soccorritore qualunque, Marc Gasol, il campione di basket Nba che guadagna oltre 20 milioni di dollari all’anno. Durante la pausa estiva dal suo lavoro, ha deciso di imbarcarsi a bordo della Proactiva Open Arms come volontario divenendo protagonista del salvataggio simbolo di queste settimane.
Il pivot dei Memphis Grizzlies – fratello dell’ex Laker, Pau, e nazionale spagnolo come lui – era a bordo della nave della Ong catalana che martedì ha denunciato l’inefficienza della Guardia Costiera libica accusandola di aver abbandonato Josephine e una mamma con il figlio piccolo, poi morti, al largo delle coste di Tripoli.
A spiegarlo, dopo essere stato immortalato in uno scatto durante le operazioni per recuperare la camerunense rimasta aggrappata a un pezzo di legno per due giorni, è stato proprio il giocatore di basket: “Frustrazione, rabbia e impotenza – ha scritto sul proprio profilo – È incredibile come tante persone vulnerabili siano abbandonate alla morte in mare. Profonda ammirazione per questi che chiamo i miei compagni di squadra in questo momento”. Una scelta particolare quella del cestista spagnolo, 33 anni, per trascorrere il tempo libero prima di rientrare negli Usa e ricominciare la nuova stagione con i Grizzlies.
Frustration, anger, and helplessness. It’s unbelievable how so many vulnerable people are abandoned to their deaths at sea.
Deep admiration for these I call my teammates at this time @openarms_fund pic.twitter.com/TR0KnRsrTE— Marc Gasol (@MarcGasol) 17 luglio 2018
“Perché sono qui? – ha raccontato il cestista a El Pais confermando la versione degli spagnoli sull’azione della Guardia costiera libica – La fotografia che nel 2015 ha fatto il giro del mondo, quella del piccolo Aylan Kurdi, morto in un naufragio sulle rive della Turchia, mi ha provocato un senso di rabbia. A quel punto per me era chiaro che tutte le persone devono fare la loro parte per far sì che queste cose non accadano più. È stato allora che ho incontrato la gente di Open Arms”. Gli uomini della Ong, continua, “mi hanno fatto capire che è una realtà drammatica in cui vivono molti bambini in tutto il mondo. Per me è stato uno shock. Così mi sono messo a disposizione. Ammiro le persone delle Ong, che hanno messo a disposizione loro risorse economiche, logistiche, personali per aiutare i disperati. Ammiro chiunque fa qualcosa, senza aspettare che gli altri lo facciano”.