Un mese aveva detto di privilegiare le "buone relazioni con un Paese importante". Adesso che va al Cairo, invece, il ministro dell'Interno predica fiducia nei confronti delle autorità egiziane nonostante non siano ancora riusciti a individuare assassini e mandanti dell'omicidio del ricercatore italiano, trovato morto il 3 febbraio del 2016: "Mi è stato promesso chiarezza, con risposte certe in breve tempo"
Un mese fa aveva archiviato la questione legata al caso di Giulio Regeni privileggiando le “buone relazioni con un Paese importante come l’Egitto“. Ora, invece, Matteo Salvini è andato al Cairo per incontrare il presidente egiziano Abd Al Fattah Al Sisi. E alla fine il Viminale ha diffuso una nota per dire che il ministro dell’Interno ha rinnnovato la richiesta di “fare piena luce sull’omicidio dello studente italiano Giulio Regeni“. La nota del ministero parla di un incontro “lungo e cordiale” al quale hanno partecipato anche il ministro dell’Interno egiziano, Mahmoud Tawfiq, il capo del Servizio Informazioni Generali, Abbas Kamel, e l’ambasciatore italiano al Cairo, Giuseppe Cantini.
Al centro dei colloqui il rafforzamento delle iniziative in tema di sicurezza, contrasto all’immigrazione clandestina e al terrorismo. E poi – a quanto dicono Salvini e Al Sisi – anche la questione Regeni. “Mi è stato promesso chiarezza, con risposte certe in breve tempo. Dobbiamo riallacciare una collaborazione tra Italia e Egitto che è fondamentale, strategica, inevitabile. La premessa, ovviamente, è la chiarezza su quanto accaduto a Giulio Regeni. Chiarezza è stata promessa, e chiarezza e giustizia verrà fatta per la famiglia ma anche per il popolo italiano. Siamo sicuri che l’iniziativa della giustizia egiziana sarà rapida e darà risposte certe“, ha detto direttamente il ministro dell’Interno. Che mostra di nutrire una straordinaria fiducia nei confronti degli inquirenti del Cairo nonostante non siano ancora riusciti a individuare assassini e mandanti dell’omicidio del ricercatore italiano dopo ben due anni e mezzo dai fatti.
La presidenza del consiglio italiano, tra l’altro, ci tiene a specificare che la visita del ministro al Cairo era stata concordata con Palazzo Chigi. “Salvini è stato oggi in Egitto come concordato ed andrà in Egitto, sempre come concordato, anche il ministro Moavero”, ha detto il premier Giuseppe Conte. “Il presidente del consiglio – ha aggiunto – invece non si muove: si muoverà quando ci saranno passi significativi. Nel frattempo è tornato il nostro ambasciatore: c’è un piano preciso che stiamo seguendo”.
Di sicuro c’è solo che i rapporti con l’Egitto non sono mai stati tanto buoni. Alla dichiarazione del ministro dell’Interno ha subito risposto Al Sisi stesso con un comunicato in cui si assicura “la volontà e il grande desiderio di arrivare a risultati definitivi delle indagini sull’uccisione dello studente italiano Giulio Regeni e di scoprire i criminali per fare giustizia su questa vicenda”. Al Sisi – si dice ancora nel comunicato – ha sottolineato “l’impegno dell’Egitto a cooperare attraverso le autorità competenti ed il potere giudiziario e di coordinarsi con i loro omologhi italiani”. Da parte sua – ha rilevato il portavoce del governo del Cairo – Salvini ha confermato “la profondità e la solidità del rapporto tra i due Paesi e ha valorizzato la cooperazione tra le due parti, specie in campo economico, nella lotta contro il terrorismo e sull’emigrazione illegale”. In proposito Salvini ha sottolineato che l’Italia prevede di organizzare una conferenza internazionale sulla lotta al terrorismo e all’emigrazione clandestina. Quindi “si è felicitato per la cooperazione delle autorità egiziane nel caso dell’uccisione di Giulio Regeni per accertare la verità e arrestare i criminali che ne sono responsabili”.
Per la verità la cooperazione tra la procura di Roma e quella del Cairo procede un po’ al rilento, come tutta l’indagine del resto. Il 29 maggio scorso la procura generale egiziana ha finalmente consegnato agli investigatori i video delle telecamere di sorveglianza delle metropolitane del capitale egiziana. Ma si tratta solo del 5% del materiale totale registrato dalle camere. Le possibilità che in quei 10 giga di filmati e frame, salvati grazie a un software ad altissima tecnologia, ci sia la chiave per arrivare alla verità sull’omicidio del giovane friulano sono quasi nulle ma chi indaga, anche sul fronte italiano, assicura sia stato fatto il possibile per recuperare le immagini.
Si tratta di registrazioni che è stato possibile recuperare perché solo “autocancellate” per non sovraccaricare la memoria dei server, ma non è stato possibile salvare quelle che sono state invece “sovrascritte” allo stesso fine. E’ stato infatti il 3 marzo, esattamente un mese dopo il ritrovamento del corpo di Regeni, che si é interrotta l’attività automatica di recuperabile cancellazione e quella dell’irrimediabile sovrascrittura. Tutto il recuperato è stato consegnato al pm Sergio Colaiocco, ma l’attenzione si concentra sulle immagini più prossime alle 19:51, momento dell’ultimo aggancio del telefono di Regeni a una cella nella stazione di Dokki. Dal Cairo gli inquirenti riporteranno anche i verbali di nuove recentissime audizioni cui sono stati sottoposti i nove agenti di polizia e National Security coinvolti nell’inchiesta anche se, fino a oggi, mai formalmente indagati dall’autorità giudiziaria egiziana.
Gli inquirenti italiani sono convinti che il ricercatore di Fiumicello fosse attenzionato da polizia e servizi egiziani già settimane prima del sequestro. Le indagini sui tabulati telefonici hanno chiarito il collegamento tra gli agenti che si occuparono di tenere sotto controllo Giulio tra dicembre 2015 e gennaio 2016, e gli ufficiali dei servizi segreti egiziani coinvolti nella sparatoria con la presunta banda di criminali uccisi il 24 marzo 2016, a cui gli egiziani provarono ad attribuire l’omicidio (in casa di uno dei banditi vennero trovati i documenti del ragazzo). In quel gruppo di persone, nove in tutto, si nasconde la chiave di quasi due anni e mezzo di inchiesta.