Una perdita di almeno 150 milioni di euro, in appena tre mesi, su un investimento stimabile in poco meno di 800 milioni. È il desolante, per quanto provvisorio, bilancio dell’ingresso in Tim da parte di Cassa Depositi e Prestiti, la cassaforte che custodisce 300 miliardi di euro di risparmi postali degli italiani, nonché braccio finanziario del ministero del Tesoro che ne detiene l’83% (un altro 16% fa capo alle fondazioni bancarie). La Cdp possiede una partecipazione in Telecom del 4,9%, una quota acquistata all’inizio dell’aprile scorso, quando il titolo della compagnia telefonica valeva intorno agli 80 centesimi. Negli ultimi giorni il prezzo delle azioni è precipitato a 60 centesimi, ossia il minimi da 5 anni. La capitalizzazione complessiva, che misura il valore di Borsa dell’intera società, è quindi scesa in questi due mesi da circa 17/18 miliardi agli attuali 12,4 miliardi. Un calo intorno al 25% che ha ridotto il valore della la partecipazione di Cdp da circa 800 milioni a 622 milioni.
I conti si possono fare solo in termini approssimativi poiché non è noto a quale valore le azioni Tim siano in carico ai bilanci della Cassa. Ossia non si sa, al momento, a quale prezzo siano stati acquistati i titoli nell’ambito di un’operazione di cui non è nota con esattezza neppure la tempistica. Qualcosa di più si saprà forse il prossimo 2 agosto quando verrà diffuso il bilancio semestrale. Proprio le modalità con cui Cdp operò il suo ingresso nell’azionariato di Tim furono oggetto di un giallo che vale la pena ricostruire almeno per sommi capi. Cdp annuncia la sua intenzione di salire in Tim fino al 5% giovedì 5 aprile. Già il solo l’annuncio di per sé provoca comprensibilmente un repentino rialzo del valore delle azioni di Tim, non un grande risultato per chi le dovrà poi, per l’appunto, comprare. Non solo. Indiscrezioni sulle intenzioni della Cassa erano già trapelate mercoledì 4 aprile, provocando un primo balzo del titolo. Tra il 4 e il 10 aprile il valore delle azioni Tim passa da 76 a 88 centesimi di euro. Un rialzo di oltre il 15% che porta l’esborso necessario per accaparrarsi il 5% della società da meno di 800 milioni a 915 milioni di euro. Anticipazioni e fughe di notizie costate quindi in teoria oltre 100 milioni di euro alla Cdp. La certezza per ora manca poiché, come detto, non sono state rese note né le esatte tempistiche né le modalità con cui le azioni sono state rastrellate sul mercato da parte della Cassa Depositi e Prestiti.
L’ingresso di Cdp in Tim avviene mentre infuria la battaglia tra i grandi soci del gruppo. Da un lato i francesi di Vivendi, con il 23,9%, dall’altro il fondo speculativo Elliott del miliardario statunitense Paul Singer che possiede una quota dell’8,8%. Nell’assemblea degli azionisti del 4 maggio scorso la spunta Elliot che ottiene la maggioranza dei voti per la sua lista di consiglieri per il cda. Elliott raggiunge il 49,8% dei voti , contro il 47,1% di Vivendi, grazie al sostegno, determinate, della Cdp che nell’occasione si muove in chiave anti-francese. Ma la maggioranza è risicata e gli equilibri in consiglio sono precari.
Da quel momento inizia così l’inesorabile caduta del titolo Tim in Borsa. Gli investitori che, tra operazione della Cdp e rilanci dei soci in vista dell’assemblea, si sono portati a casa consistenti plusvalenze in poco tempo, iniziano a lasciare il gruppo. L’esodo avviene nonostante la gran parte degli analisti sia convinta che il valore delle azioni non esprima appieno il potenziale della società. Margini per un pieno recupero insomma ce ne sarebbero. Ma al momento le azioni sono zavorrate dai continui attriti tra i soci e gli scontri in consiglio che minano la solidità e la stabilità nella guida del gruppo. Per di più questo accade proprio nel momento in cui c’è da affrontare l’arrivo sul mercato di un nuovo agguerrito concorrente come la francese Iliad e bisogna metter mano a dossier fondamentali come le scelte sulla rete e le future aste per le frequenze 5G. A farne le spese sono in primo luogo gli azionisti, con la Cassa che è in stallo in attesa di un accordo di governo sui nuovi vertici. In un certo senso però un po’ anche tutti i contribuenti visto che attraverso Cdp, e quindi il Tesoro, lo Stato italiano rimane il terzo azionista del gruppo e, sinora, ha visto andare in fumo tra i 100 e i 200 milioni di euro.