Sul sito di Regione Lombardia il primo rapporto di "Monitoraggio della presenza mafiosa in Lombardia". Realizzato dall'Osservatorio sulla criminalità organizzata (Cross) dell’Università Statale di Milano e finanziato dal consiglio regionale, in 400 pagine mette a nudo il radicamento e l'evoluzione del "silenzioso assalto" delle cosche. Nel mirino sempre più politici e amministratori locali condizionati o indotti a dimettersi a seguito di intimidazioni. Ecco la sintesi del rapporto e il documento completo
Non c’era, ora è una metastasi diffusa in tutta la regione. Eccola qui la mafia al Nord. Il ritratto, provincia per provincia, arriva proprio da Regione Lombardia, cioè dalle stesse sale dove – solo pochi anni fa – s’era levato energico, risoluto e sdegnato il diniego dell’allora governatore (e già ministro degli Interni) Roberto Maroni: “La mafia al Nord non esiste”. Era il 2010 e dopo sei anni proprio qui, e proprio grazie ai fondi della giunta regionale, si materializza come un contrappasso perfetto il primo studio sistemico sul fenomeno: 400 pagine di analisi, dati, spunti e “mappe”(scarica la sintesi, qui il documento completo) che hanno il merito di fotografare presenza e incidenza delle cosche da più angolature (storica, statistica, comportamentale etc), riuscendo non solo a “vederla” (anziché negarla, come pure un prefetto riusciva) ma a “pesarla”: vale a dire a ricostruire origini, storia, evoluzione e assetti attuali, che è poi il racconto di un inesorabile “processo di colonizzazione” iniziato a metà del secolo scorso. La sua ultima frontiera è poi, guarda caso, la politica: “è in corso una aggressione delle libertà politiche”, si legge nel rapporto realizzato dall’Osservatorio sulla criminalità organizzata (Cross) dell’Università Statale di Milano anticipato ieri a Palazzo Lombardia e pubblicato oggi integralmente: inchieste della magistratura, dati del Viminale, verbali, testimonianze e articoli di cronaca diventano l’asse cartesiano su cui collocare i clan per attività, metodologie criminali e predilezione territoriale.
Milano resta il cuore degli intrecci dell’economia criminale, dalla prima mafia dei “colletti bianchi” a Buccinasco che diventa la “Platì del Nord”, fino alle infiltrazioni di Expo2015. Mentre l’hinterland – a partire dalla Brianza – è sempre più il laboratorio per il suo radicamento violento fatto di estorsioni, controllo del territorio, pizzo. Lo studio avverte del riposizionamento in atto nelle diverse province: si avverte un “riequilibrio” tra quelle orientali, che erano terre di emigrazione e dunque meno toccate dall’espansione del fenomeno mafioso che cavalcava in quelle orientali fin dal dopoguerra. “L’area occidentale – si legge – continua a esercitare un indiscutibile primato, ma si registra un consolidamento delle organizzazioni mafiose nella provincia di Bergamo (con diversi episodi di intimidazione di amministratori locali) o in quella di Brescia, con il lago di Garda che gioca da anni il ruolo di grande catalizzatore per organizzazioni criminali di ogni genere, comprese quelle straniere, russa in particolare. Un riequilibrio in cui sembra pesare soprattutto il nuovo ruolo assunto dalle aree meridionali e soprattutto dalla provincia di Mantova, a lungo considerata fuori gioco e invece destinazione privilegiata dalle ‘ndrine che risalgono la Lombardia venendo dall’Emilia nord-orientale, come il famoso clan Grande Aracri di Cutro, e che nel sud-est lombardo si sovrappongono ad altre ‘ndrine, a loro volta proiettate dalla Lombardia verso l’Emilia”.
La geografia evolve anche ad altri livelli, non territoriali. Il report mette in luce la recrudescenza delle varie forme di pressione e intimidazione a danno degli amministratori locali, costretti in molti casi a rinunciare al proprio mandato per evitare ritorsioni. I tentavi di condizionamento sembrano non avere barriera nei comuni più piccoli, meno esposti all’attenzione dei media, dove le dinamiche locali spesso non hanno racconto. Del resto, si legge nel rapporto, l’assalto delle mafie al Nord è assai diverso da quello volutamente plateale e rumoroso che ha scandito i grandi capitoli della guerra tra Stato e Mafia. E’ una storia minore volutamente minore, perché “i clan non annunciano e non rivendicano di volere modificare i modi di vita o i valori di riferimento della comunità. Quest’ultima infatti considera a lungo la loro presenza come una anomalia (più o meno sgradita), inabile a incidere significativamente sulla vita civile quotidiana. Salvo trovarsene sconfitta silenziosamente, anzi espugnata, senza avere mai visto arrivare in lontananza l’esercito nemico; colonizzata anche nel pensiero e nel linguaggio, come dimostrano alcune inchieste televisive”.
Se il fronte privato dei cittadini si è dimostrato spesso disarmato, anche quello delle istituzioni pubbliche ha visto arretramenti davanti alla minaccia che si materializza. “Il fenomeno è certo assai variegato, ma rinvia a uno stesso rumore di fondo, da Pavia a Cadorago, da Corsico a Tribiano, da Pescate a Corrido, da Fino Mornasco a Dorio, da Solferino a Pegognaga, e appare più frequente nei comuni minori, meno interessanti per la stampa o l’opinione pubblica. Valga per tutti il caso del comune di Sorico, di 1200 abitanti, in cui ben due sindaci hanno subito, uno dopo l’altro, l’incendio dell’auto nella disattenzione generale”. Insomma se la malattia è asintomatica nessuno se ne cura. Ed ecco allora il valore di questa ricerca multidisciplinare che mette insieme i solidi elementi di conoscenza che derivano delle indagini giudiziarie, i frammenti di cronache anche minute, uno sguardo geograficamente e temporalmente ampio che consente di collocare attori, vittime e comparse del proscenio criminale in una forma precisa, chiara, discorsiva. E così facendo ricostruisce le mappe (non solo geografiche ma familiari, comportamentali etc) di questo grande, invisibile e silenzioso assalto.