Sono in 25 a rischiare il processo per reati che vanno dalla truffa (per 320 milioni di euro) alla corruzione e al falso. La Procura di Roma ha chiuso l’inchiesta relativa ai lavori legati alla Metro C. E tra gli indagati ci sono anche l’ex sindaco della Capitale, Gianni Alemanno, l’ex assessore alla Mobilità Antonello Aurigemma (giunta Alemanno), l’ex assessore alla Mobilità Guido Improta (giunta Marino), l’ex dirigente del ministero delle Infrastrutture Ercole Incalza e gli allora dirigenti della stazione appaltante, Roma metropolitane, che fa capo al Campidoglio, e della società appaltatrice Metro C.
Un accordo tra i soliti furbetti. Un grande imbroglio, secondo la Procura di Roma, che ha portato alla lievitazione spropositata dei costi e ritardi nei tempi di consegna. Grazie a un patto illegale, questa è l’ipotesi dei pm, gli indagati facevano passare per costi aggiuntivi quelle che erano le conseguenze dell’italica lentezza nell’esecuzione dei lavori. Agli indagati viene contestato, a seconda delle posizione, il reato di concorso in truffa aggravata ai danni di enti pubblici in particolare per due episodi ritenuti illeciti.
I primi 230 milioni – Il primo, del 6 settembre del 2011, che ha indotto in errore il Cipe (quanto all’emanazione della delibera autorizzativa del pagamento), oltre allo Stato, alla Regione Lazio e al Comune, fa riferimento al pagamento di 230 milioni di euro, somma che per gli investigatori rappresentava un ingiusto profitto a Metro C, quale Generale Contractor, in quanto “non dovuta”.
Le accuse per Alemanno – È in merito a questo primo episodio che l’ex sindaco Alemanno deve rispondere di falso e truffa in concorso con Aurigemma, suo assessore alla mobilità. Con loro è accusato anche l’ex dirigente Incalza, a capo della Struttura tecnica di missione del dicastero, che nell’ottobre del 2012 chiese al Comune di “esprimersi sulla fondatezza delle Riserve avanzate in corso d’opera da Metro C” che voleva 230 milioni di euro come “somme per maggiori costi di esecuzione”. Nel novembre del 2012 Alemanno rispose a Incalza evidenziando che il Campidoglio aveva acceso un mutuo per 158 milioni per finanziare il pagamento dopo aver affrontato e analizzato le questioni. Il Campidoglio evidenziò in un atto “la fondatezza delle riserve avanzate e il rischio di soccombenza di Roma Metropolitane” ritenendo “la transazione la miglior soluzione alla controversia”.
Le tre “falsità” contenute nell’atto – Secondo la procura quei soldi non erano dovuti e i finanziamenti erogati rappresentarono una truffa attuata con false documentazioni. Nell’avviso di conclusione indagini emergono infatti le falsità contenute nell’atto redatto da Aurigemma e sottoscritto da Alemanno. Innanzitutto viene citato un parere dell’avvocatura capitolina, che invece “mai si era pronunciata al riguardo”. Lo stesso vale per i legali incaricati da Roma Metropolitane, che secondo il documento del Campidoglio “hanno ritenuto la transazione la miglior soluzione alla controversia”. In realtà “non hanno mai potuto esaminare la documentazione”. Infine viene citato la valutazione di “un magistrato della Corte dei conti” che invece, secondo la Procura, “mai ha espresso alcuna valutazione di merito”.
Gli altri 90 milioni (mai erogati) – Il secondo episodio risale al novembre 2013, riguarda l’erogazione di altri 90 milioni di euro (mai avvenuta), sempre a beneficio di Metro C, quale tranche per la prima fase funzionale dei lavori. Anche in questo caso finanziamenti non dovuti perché frutto di un precedente accordo illecito (accordo transattivo) e, in parte, relativo a importi economici nuovi “non sottoposti alla preventiva formale approvazione da parte degli enti finanziari e alla preventiva valutazione, controllo e finanziamento da parte del Cipe”.
I cinque treni definanziati – Gli allora dirigenti di Roma Metropolitane e di Metro C sono anche accusati di “aver rappresentato falsamente la possibilità del finanziamento dell’ulteriore importo di 90 milioni” all’interno del Quadro economico, quando invece per far fronte a questo pagamento “venivano apportate sostanziali variazioni alle ‘voci’ Quadro economico, da un lato, illegittimamente definanziando l’acquisto previsto di cinque treni” e parte delle tratte T2 e T3, dall’altro “azzerando quasi totalmente la voce ‘imprevisti’ e ‘accordi bonari'”.
La figlia assunta in Finmeccanica – I pm contestano poi a Giovanni Simonacci, responsabile unico del procedimento e poi dell’ufficio Alta sorveglianza della Linea C, quindi “un pubblico ufficiale“, di aver compiuto atti contrari ai doveri d’ufficio ottenendo in cambio l’assunzione della figlia Diana da parte di Finmeccanica e successivamente da parte di Ansaldo, società che fa parte del consorzio Metro C. Reato per il quale sono indagati in concorso, visto che hanno proceduto all’assunzione, anche il responsabile ufficio Finmeccanica Leonardo Pavoni e l’amministratore delegato di Ansaldo Sergio De Luca.
Il completamento atteso da un decennio – L’innesco del fascicolo, coordinato dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal sostituto Erminio Amelio, è legato ad una nota del collegio sindacale ed un esposto di una associazione che risale al 2013. In tutto la truffa, secondo l’ipotesi dell’accusa, riguarda 320 milioni di euro previsti per lavori mai fatti. Intanto dal 2006 – quando la gara è stata vinta da Astaldi, la Viannini Lavori (gruppo Caltagirone), la coop rossa Ccc e Ansaldo Trasporti (ora venduta alla giapponese Hitachi) – i romani aspettano il completamento di un collegamento che doveva partire in estrema periferia da Pantano, attraversare il centro storico e finire oltre il Tevere, in piazzale Clodio.
I 700 milioni di extracosti – Proprio a inizio maggio la sindaca Virginia Raggi ha annunciato che “l’opera continuerà”, fino ad attraversare tutta la città, con capolinea a Clodio o Farnesina (zona Stadio Olimpico) e una fermata intermedia nel cuore della Roma antica – forse a Torre Argentina – come prevedeva il progetto originario partorito dalla giunta Rutelli negli anni ‘90. Un’infrastruttura da completare con un contratto ex-novo e “presupposti diversi” rispetto a quelli che hanno portato l’opera a raccogliere 7 anni di ritardi sulla tabella di marcia, 45 varianti e almeno 700 milioni di euro di extracosti (è costata 2,9 miliardi contro i 2,2 iniziali) con un altro mezzo miliardo di contenziosi fra il Comune e i costruttori.
Gli “artifici e raggiri”: le 18 riserve – Come sono via via aumentati negli anni i costi? Secondo i pm “mediante artifici e raggiri” consistiti nell’“iscrivere strumentalmente almeno 18 riserve (richieste di pagamenti aggiuntivi a fronte di imprevisti, ndr) per un ammontare di 1,4 miliardi di euro”. Un meccanismo che era già finito al vaglio della Corte dei Conti che aveva quantificato un danno erariale per Roma metropolitane, nel solo periodo 2006-2010, pari a 363 milioni: dopo le contestazioni, l’indagine contabile è però finita nel dimenticatoio.