Giovedì 7 ottobre 2010 a Roma si tenne Per la verità, per Israele, una manifestazione in difesa dello Stato ebraico, presenziata dai coloni israeliani e con lo scopo di fare chiarezza sulle presunte persecuzioni subite da Israele a opera della stampa internazionale e dell’Onu. Mancava poco che si lodassero i massacri israeliani da Deir Yassin a Sabra e Shatila, passando per una Gaza ridotta in macerie, che si inneggiasse a 60 anni di occupazione e oppressione, al fosforo bianco contro scuole dell’Onu e ospedali, a migliaia di prigionieri politici rinchiusi e torturati nei lager, alla costante pulizia etnica che ha prodotto e produce milioni di profughi e decine di migliaia di vittime in Palestina.
Ospite d’onore della manifestazione, fra gli altri, era Roberto Saviano. E io mi chiedevo, ieri, come facesse Roberto Saviano a conciliare l’appoggio pubblico a uno Stato che bombarda la popolazione civile e i bambini palestinesi con l’indignazione rabbiosa per i migranti morti in mare. Qualcuno mi ha chiesto se fossi in grado io, di farlo. E mi sono resa conto che un discorso equilibrato e razionale su certi temi è veramente difficile. A seconda di chi ti trovi davanti.
Puoi trovarti uno pseudo-razzista, per esempio. Non un razzista vero, si capisce. Uno che semplicemente ha paura di quello che non conosce. Compreso il vicino nuovo che trasloca nell’appartamento accanto. Non è che quello lì creda alla superiorità di una razza e all’inferiorità di un’altra. Non scherziamo. Si sente solo destabilizzato da situazioni nuove, diverse. Vuole il suo quotidiano conformismo. Le sue poche e traballanti certezze sono minate da tutto quello che è diverso dai precetti che crede giusti e ai quali cerca di uniformarsi. Ragiona per concetti semplici, per pensieri preconfezionati. Non suoi, ma inculcati con sapienza. Non dipende dall’intelligenza, questa chiusura, ma dal tipo di personalità.
Oppure puoi ritrovarti a discutere con quello tutto cuore. Bellissimo, per carità, ma incapace di prospettive. Apriamo porti, frontiere, finestre. E poi? Come siamo attrezzati, noi, se per valutare una richiesta di asilo ci mettiamo minimo due anni, per rinnovare o rilasciare un permesso di soggiorno ci vuole l’eternità? Quali opportunità possiamo offrire, a questi disperati, noi che perdiamo i nostri ragazzi a botte di un quarto di milione l’anno perché non abbiamo opportunità neppure per loro?
Dunque, la Palestina. E i gommoni. Io, che provo lo stesso orrore di fronte ai morti palestinesi e a quelli in mare, non ho bisogno di conciliare niente. Non so se voi siate mai stati in Palestina o nell’inferno di Gaza. Vi spiego come funziona andarci: non potete. O meglio: potete, se e solo se Israele ve lo consente. Perché non sono i palestinesi a decidere chi può e chi non può entrare a casa loro, è Israele, che controlla coi militari tutte le frontiere, comprese quelle in mare. Peggio a Gaza, dove l’unico passaggio possibile è Rafah, il valico con l’Egitto. La Palestina è un enorme campo di concentramento a cielo aperto, dove spesso, per passare il tempo, i cecchini israeliani giocano a far saltare la testa ai bambini con un unico colpo di fucile. Quando non decidono di fare un bombardamento a tappeto col fosforo bianco.
Diverso, assai diverso, il discorso dell’Africa. Non fraintendetemi: anche lì non se la passano bene. Guerre, fame, miseria e sfruttamento. La Francia, la Germania, il Belgio, perfino l’Italia, nel suo piccolo, hanno colonizzato (o tentato, nel nostro caso, riuscendoci per un tempo per fortuna breve) intere nazioni sfruttandole all’osso, devastandole, depredandole. Però, rispetto ai palestinesi, inermi a casa loro di fronte alla violenza di uno Stato straniero aggressore, gli africani che si caricano sui camion e attraversano il deserto e quelli che si caricano sui gommoni e attraversano il mare, sono consapevoli. Sanno cosa fanno e cosa gli si chiederà in cambio. Lo sfruttamento in cambio del “passaggio”. Se sei una donna significa il marciapiede. Se sei un uomo significa due euro al giorno per un lavoro massacrante. Per entrambi, mesi eterni, almeno otto, nei campi di concentramento libici, dove sei un pezzo di carne e la tua vita vale niente. E poi i bambini. Vi siete mai chiesti come lo pagano, il viaggio, i bambini? O pensate che chi non si fa scrupoli a buttare in mare decine di persone e lasciarle affogare si muova a compassione di fronte a un ragazzino?
E com’è possibile che io concili le due cose, il dramma palestinese e la tragedia dei barconi? Palestinesi e africani sono entrambi prigionieri in casa loro. Solo che i primi non possono neppure andarsene. Degli stranieri che arrivano in Italia, molti cercano di scappare dalla fame, dalla miseria, dalla guerra. Il problema non sono i gommoni e l’ho detto più di una volta. Ma che un problema ci sia è innegabile. E non è un problema di razza, di religione, di accoglienza.
Che la criminalità usi molti stranieri come bassa manovalanza è acclarato. Tuttavia, se diamo un’occhiata alla provenienza della popolazione straniera nelle carceri italiane, ci rendiamo conto che il problema non sono i disperati che arrivano coi barconi. La maggior parte dei detenuti stranieri è romena, albanese, marocchina e tunisina. Non appartengono di certo alla povera gente disperata che fugge da guerre e carestie e arriva sui barconi. Nelle carceri italiane, nigeriani pochi, senegalesi meno ancora.
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Il problema ce l’abbiamo in casa e ci costa. In termini economici, proprio. Perché le carceri sono sovraffollate (un terzo dei detenuti è straniero), perché dobbiamo dargli da mangiare, da bere e curarli se sono malati e poi magari riconoscergli i contributi per il periodo di detenzione. Forse, il problema (che c’è) dovremmo vederlo da altre prospettive. E cercare altre soluzioni, che non siano i pensieri preconfezionati, né in un senso né nell’altro. Aumentare la sicurezza. Che non vuol dire fare differenze in base al colore della pelle, vuol dire mettere in strada più pattuglie, aumentare il controllo del territorio, rendere possibile uscire di casa senza il rischio di essere aggrediti, stuprati, accoltellati, derubati, uccisi. Da italiani o stranieri, senza differenze.
Il problema vero è questo, assieme alla giustizia elefantiaca e alle leggi cavillose che non garantiscono certezza della pena. Ma additare il nero, il povero, il disperato, catalizzare la frustrazione sul debole, è più facile. Richiede solo parole. Il resto richiede polso e capacità. E finora non se ne son visti. Tra l’altro, ho disperatamente cercato di non vedere il nesso tra il “pagamento” del viaggio per i bambini e i 15mila minori non accompagnati stranieri scomparsi in Italia. Tra la pedofilia (gli italiani sono i primi clienti dei bordelli in cui vengono venduti i bambini all’estero) e l’espianto degli organi, scegliete voi cosa vi sembra più probabile.
Vania Lucia Gaito
Giornalista
Politica - 19 Luglio 2018
Migranti, il problema è il nostro sistema. Ma prendersela con i deboli è più facile
Giovedì 7 ottobre 2010 a Roma si tenne Per la verità, per Israele, una manifestazione in difesa dello Stato ebraico, presenziata dai coloni israeliani e con lo scopo di fare chiarezza sulle presunte persecuzioni subite da Israele a opera della stampa internazionale e dell’Onu. Mancava poco che si lodassero i massacri israeliani da Deir Yassin a Sabra e Shatila, passando per una Gaza ridotta in macerie, che si inneggiasse a 60 anni di occupazione e oppressione, al fosforo bianco contro scuole dell’Onu e ospedali, a migliaia di prigionieri politici rinchiusi e torturati nei lager, alla costante pulizia etnica che ha prodotto e produce milioni di profughi e decine di migliaia di vittime in Palestina.
Ospite d’onore della manifestazione, fra gli altri, era Roberto Saviano. E io mi chiedevo, ieri, come facesse Roberto Saviano a conciliare l’appoggio pubblico a uno Stato che bombarda la popolazione civile e i bambini palestinesi con l’indignazione rabbiosa per i migranti morti in mare. Qualcuno mi ha chiesto se fossi in grado io, di farlo. E mi sono resa conto che un discorso equilibrato e razionale su certi temi è veramente difficile. A seconda di chi ti trovi davanti.
Puoi trovarti uno pseudo-razzista, per esempio. Non un razzista vero, si capisce. Uno che semplicemente ha paura di quello che non conosce. Compreso il vicino nuovo che trasloca nell’appartamento accanto. Non è che quello lì creda alla superiorità di una razza e all’inferiorità di un’altra. Non scherziamo. Si sente solo destabilizzato da situazioni nuove, diverse. Vuole il suo quotidiano conformismo. Le sue poche e traballanti certezze sono minate da tutto quello che è diverso dai precetti che crede giusti e ai quali cerca di uniformarsi. Ragiona per concetti semplici, per pensieri preconfezionati. Non suoi, ma inculcati con sapienza. Non dipende dall’intelligenza, questa chiusura, ma dal tipo di personalità.
Oppure puoi ritrovarti a discutere con quello tutto cuore. Bellissimo, per carità, ma incapace di prospettive. Apriamo porti, frontiere, finestre. E poi? Come siamo attrezzati, noi, se per valutare una richiesta di asilo ci mettiamo minimo due anni, per rinnovare o rilasciare un permesso di soggiorno ci vuole l’eternità? Quali opportunità possiamo offrire, a questi disperati, noi che perdiamo i nostri ragazzi a botte di un quarto di milione l’anno perché non abbiamo opportunità neppure per loro?
Dunque, la Palestina. E i gommoni. Io, che provo lo stesso orrore di fronte ai morti palestinesi e a quelli in mare, non ho bisogno di conciliare niente. Non so se voi siate mai stati in Palestina o nell’inferno di Gaza. Vi spiego come funziona andarci: non potete. O meglio: potete, se e solo se Israele ve lo consente. Perché non sono i palestinesi a decidere chi può e chi non può entrare a casa loro, è Israele, che controlla coi militari tutte le frontiere, comprese quelle in mare. Peggio a Gaza, dove l’unico passaggio possibile è Rafah, il valico con l’Egitto. La Palestina è un enorme campo di concentramento a cielo aperto, dove spesso, per passare il tempo, i cecchini israeliani giocano a far saltare la testa ai bambini con un unico colpo di fucile. Quando non decidono di fare un bombardamento a tappeto col fosforo bianco.
Diverso, assai diverso, il discorso dell’Africa. Non fraintendetemi: anche lì non se la passano bene. Guerre, fame, miseria e sfruttamento. La Francia, la Germania, il Belgio, perfino l’Italia, nel suo piccolo, hanno colonizzato (o tentato, nel nostro caso, riuscendoci per un tempo per fortuna breve) intere nazioni sfruttandole all’osso, devastandole, depredandole. Però, rispetto ai palestinesi, inermi a casa loro di fronte alla violenza di uno Stato straniero aggressore, gli africani che si caricano sui camion e attraversano il deserto e quelli che si caricano sui gommoni e attraversano il mare, sono consapevoli. Sanno cosa fanno e cosa gli si chiederà in cambio. Lo sfruttamento in cambio del “passaggio”. Se sei una donna significa il marciapiede. Se sei un uomo significa due euro al giorno per un lavoro massacrante. Per entrambi, mesi eterni, almeno otto, nei campi di concentramento libici, dove sei un pezzo di carne e la tua vita vale niente. E poi i bambini. Vi siete mai chiesti come lo pagano, il viaggio, i bambini? O pensate che chi non si fa scrupoli a buttare in mare decine di persone e lasciarle affogare si muova a compassione di fronte a un ragazzino?
E com’è possibile che io concili le due cose, il dramma palestinese e la tragedia dei barconi? Palestinesi e africani sono entrambi prigionieri in casa loro. Solo che i primi non possono neppure andarsene. Degli stranieri che arrivano in Italia, molti cercano di scappare dalla fame, dalla miseria, dalla guerra. Il problema non sono i gommoni e l’ho detto più di una volta. Ma che un problema ci sia è innegabile. E non è un problema di razza, di religione, di accoglienza.
Che la criminalità usi molti stranieri come bassa manovalanza è acclarato. Tuttavia, se diamo un’occhiata alla provenienza della popolazione straniera nelle carceri italiane, ci rendiamo conto che il problema non sono i disperati che arrivano coi barconi. La maggior parte dei detenuti stranieri è romena, albanese, marocchina e tunisina. Non appartengono di certo alla povera gente disperata che fugge da guerre e carestie e arriva sui barconi. Nelle carceri italiane, nigeriani pochi, senegalesi meno ancora.
Il problema ce l’abbiamo in casa e ci costa. In termini economici, proprio. Perché le carceri sono sovraffollate (un terzo dei detenuti è straniero), perché dobbiamo dargli da mangiare, da bere e curarli se sono malati e poi magari riconoscergli i contributi per il periodo di detenzione. Forse, il problema (che c’è) dovremmo vederlo da altre prospettive. E cercare altre soluzioni, che non siano i pensieri preconfezionati, né in un senso né nell’altro. Aumentare la sicurezza. Che non vuol dire fare differenze in base al colore della pelle, vuol dire mettere in strada più pattuglie, aumentare il controllo del territorio, rendere possibile uscire di casa senza il rischio di essere aggrediti, stuprati, accoltellati, derubati, uccisi. Da italiani o stranieri, senza differenze.
Il problema vero è questo, assieme alla giustizia elefantiaca e alle leggi cavillose che non garantiscono certezza della pena. Ma additare il nero, il povero, il disperato, catalizzare la frustrazione sul debole, è più facile. Richiede solo parole. Il resto richiede polso e capacità. E finora non se ne son visti. Tra l’altro, ho disperatamente cercato di non vedere il nesso tra il “pagamento” del viaggio per i bambini e i 15mila minori non accompagnati stranieri scomparsi in Italia. Tra la pedofilia (gli italiani sono i primi clienti dei bordelli in cui vengono venduti i bambini all’estero) e l’espianto degli organi, scegliete voi cosa vi sembra più probabile.
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Caro bollette, a due settimane dagli annunci di Giorgetti il decreto slitta ancora: cdm rinviato a venerdì
Milano, 24 feb.(Adnkronos) - “Un ente come Fondazione Bicocca è assolutamente innovativo perché apre totalmente al privato. Una formula coerente con le intenzioni del governo, che sta novellando le norme legate al partenariato pubblico-privato per un equilibrato rapporto tra gli interessi pubblici e l'interesse privato”. Così Alessandro Morelli, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, in occasione della presentazione della Fondazione Bicocca, svoltasi presso l’Aula magna dell’Ateneo milanese.
“Bicocca, pertanto, sta facendo una bellissima esperienza: una start up all'interno della start up. Ci auguriamo, quindi, che il buon successo di questa iniziativa possa essere preso come esempio da molti altri. Il giusto e sano collegamento tra un'accademia, come questa l'università, e le imprese è una cosa buona e giusta che perseguiamo con grande attenzione”, conclude.
Milano, 24 feb.(Adnkronos) - "Oggi presentiamo Fondazione Bicocca a tutta la comunità e a tutti i nostri possibili stakeholders. Lo scopo della Fondazione è quello di mettere in relazione il territorio con l'università. È un facilitatore e quindi speriamo di ottenere dei grossi risultati. Oggi il primo evento di una lunga serie”. Così Marco Orlandi prorettore vicario dell'università Milano-Bicocca e presidente di Fondazione Bicocca durante l'evento "Connessioni per il futuro". Un incontro pensato per presentare Fondazione Bicocca, un nuovo ente in grado di supportare e valorizzare le attività di alta formazione, ricerca e trasferimento tecnologico dell’ateneo. “Siamo molto orgogliosi, siamo un'università giovane nata 26 anni fa, ma in questi 26 anni abbiamo ottenuto degli ottimi risultati e questo era il momento di dotarsi di un altro strumento per essere ancora più attrattivi per il territorio e per i nostri stakeholders" conclude Orlandi.
Milano, 24 feb.(Adnkronos) - “La presentazione di Fondazione Bicocca è un momento importante perché Bicocca ha già dimostrato, spostandosi in quest'area geografica della città, di fare tanto per il territorio in cui è immersa, con una trasformazione ambientale e strutturale". Lo afferma Alessia Cappello, assessora allo Sviluppo economico e politiche del lavoro del Comune di Milano, in occasione della presentazione della Fondazione Bicocca, svoltasi presso l’Aula magna dell’Ateneo milanese.
"Basti pensare - dice - a tutti gli investimenti sul verde che ha fatto e che circondano quest'area, ma soprattutto culturale, sulla parte che riguarda la proprietà intellettuale, il trasferimento tecnologico, la possibilità di avvicinare e orientare ancora di più tante ragazze e ragazzi alle materie che l’Università Bicocca rappresenta in questo territorio. Ora attraverso la Fondazione, si cerca di creare quel ponte ancora più esplicito, ancora più forte con il mercato del lavoro”.
"L’obiettivo della Fondazione è trasformare da un lato il mercato del lavoro, avvicinandolo sempre di più alle aspettative di tante ragazze e ragazzi, dall'altro lato avvicinare questo patrimonio di giovani alle proposte che ci sono nel mercato del lavoro, orientandoli e formandoli nel modo corretto a fronte delle tante vacancies che ci sono in diversi settori. Un obiettivo molto utile non solo a Milano, ma al nostro Paese”, conclude.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Il costo delle bollette in Italia ha raggiunto picchi insostenibili per famiglie e imprese. Oggi la segretaria Schlein ha dimostrato che sono possibili interventi urgenti e immediati per abbassare il costo dell’energia. Nello stesso giorno in cui il governo Meloni fa slittare il cdm per affrontare la questione: sono nel caos. Seguano le proposte del Pd, perché gli italiani non possono rimetterci di tasca propria per l’incompetenza di questa destra". Lo scrive sui social Alessandro Zan del Pd.
Milano, 24 feb.(Adnkronos) - “Il valore di Fondazione Bicocca è un atto di coraggio, ma anche di eredità, perché questo è il mio ultimo anno di mandato. Pertanto, l'ottica è mettere a disposizione le competenze, ma anche il coraggio, di un grande ateneo pubblico multidisciplinare, come Bicocca, a disposizione della società civile a 360 gradi”. Così Giovanna Iannantuoni, rettrice dell’università degli studi di Milano-Bicocca, in occasione della presentazione della Fondazione Bicocca, svoltasi presso l’Aula magna dell’Ateneo milanese.
“Tutti noi sappiamo dell'incertezza economica, dei problemi relativi al mancato sviluppo delle competenze e dell'inverno demografico. Queste sfide non sono solo italiane, ma anche europee, rispetto a colossi come Stati Uniti e Cina e fanno riflettere sul gap di innovazione tecnologica che caratterizza tutta l'Europa e in particolare il nostro Paese. Pertanto - spiega la rettrice Iannantuoni - è motivo di orgoglio avere da un lato lo sviluppo delle competenze e dall’altro mettere a disposizione i nostri laboratori e le nostre migliori menti insieme alle imprese per fare sviluppo e crescita. Non c'è innovazione tecnologica se non c’è giustizia sociale, cioè se l’innovazione non è a favore di tutti. Un esempio sono le polemiche legate alle auto elettriche”.
“Quindi, il nostro approccio è multidisciplinare, innovativo e diverso, com’è diversa Bicocca, e si propone come una piattaforma di connessioni per il futuro, come abbiamo voluto chiamare la giornata di oggi e aspettiamo tutte le imprese del terzo settore, gli Irccs, gli istituti di cura, le scienze della vita, Tutti insieme per dare una speranza diversa al nostro Paese”, conclude.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Il governo Meloni, in quasi due anni, non ha adottato alcuna misura efficace per contrastare l’aumento delle bollette, preferendo smantellare il mercato tutelato e aggravando così la situazione di famiglie e imprese". Lo afferma Ubaldo Pagano, capogruppo del Partito Democratico in Commissione Bilancio alla Camera, sottolineando la necessità di un cambio di rotta immediato. Il Partito Democratico torna a chiedere interventi concreti, proponendo due soluzioni centrali: separare il costo dell’energia da quello del gas e istituire un ente pubblico che possa garantire prezzi più accessibili.
"Non possiamo accettare – aggiunge Pagano – che il nostro sistema energetico rimanga vincolato a un meccanismo che pesa enormemente sulle tasche di cittadini e aziende. Il gas è la fonte più costosa e instabile, e continuare a legare il prezzo dell’elettricità a questa risorsa è un errore che il governo deve correggere subito. Le bollette stanno raggiungendo livelli insostenibili proprio nei mesi di maggiore consumo: Meloni e la sua maggioranza si decidano ad agire, perché gli italiani non possono più aspettare", conclude Pagano.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Non è più procrastinabile un intervento del Governo per contenere i costi delle bollette, oramai insostenibili per milioni di italiani. Governo e maggioranza facciano proprie le proposte del Pd avanzate da Elly Schlein e tutte a costo zero. Proposte semplici, chiare ed efficaci. Approviamole con spirito bipartisan per il bene del Paese". Così in una nota il senatore del Pd Michele Fina.
"Dopo che il taglio delle accise, promesso dalla presidente Meloni, era rimasto intrappolato nella distanza che c'è tra il dire e il fare e nulla è stato fatto è ora che maggioranza e governo prendano atto della gravità della situazione. Come si fa a non rendersi conto che questa emergenza bollette si aggiunge all’aumento di carburante, RC Auto e pedaggi, beni alimentari, materiale scolastico e affitti? Una situazione sconfortante che si va ad aggiungere ad una economia che arretra da 750 giorni, proprio mentre attendiamo gli effetti nefasti dei dazi di Trump".