Il nuovo consiglio d’amministrazione della Rai inizia a prendere forma: ai quattro membri già scelti dal Parlamento, si aggiunge ora Riccardo Laganà, il primo consigliere nella storia dell’azienda eletto dall’assemblea dei dipendenti di Viale Mazzini. La sua figura rappresenta infatti una novità all’interno della governance della tv pubblica, introdotta dalla riforma Renzi del 2016 con l’intento di inserire nel cda un componente in grado di dare voce ai dipendenti. Quarantatré anni, in Rai dal 1996, Riccardo Laganà è assunto come tecnico della produzione nel centro di produzione di Roma ed è molto conosciuto per IndigneRai, sito attento alle vicende del servizio pubblico. Ha presentato la propria candidatura da solo, senza cioè il sostengo dei sindacati, evidenziando nel proprio curriculum la sua “conoscenza della macchina organizzativa tecnica ed editoriale delle produzioni Rai”. È stato eletto con 1916 voti, superando Roberto Natale, espresso dall’Usigrai e Gianluca De Matteis Tortora, esponente dei sindacati del personale non giornalistico. Hanno votato 6.676 aventi diritto su un totale di 11.719 dipendenti, con un’affluenza del 57%.
“La cosa che più mi attira è dare voce a tutti i dipendenti -ha spiegato Laganà – per avanzare proposte che rilancino l’azienda, ma anche alle associazioni che ruotano attorno al servizio pubblico e a tutti i cittadini che vogliono partecipare in qualche modo alla vita della Rai”. Quanto alla “prima battaglia” da portare avanti, “c’è l’urgenza – prosegue ancora il neo consigliere – di ottimizzare e valorizzare tutte le risorse che lavorano in Rai, 12 mila dipendenti che vogliono poter svolgere il loro lavoro con professionalità, senza essere sottoposti alle aggressioni esterne di agenti che impongono accordi e pacchetti chiusi ai direttori di rete. Nessuna intenzione di demonizzare le collaborazioni esterne, se sono ben giustificate e motivate come valore aggiunto, ma non passi l’abitudine a lasciare immobili fior di professionisti interni”.
Per completare la rosa, ora manca solo la scelta degli ultimi due membri, indicati dal Tesoro, dei quali uno sarà il presidente: il suo nome dovrà essere approvato dai due terzi della commissione di Vigilanza. È possibile, ma non scontato, che i nomi arrivino già lunedì sera, nel corso del prossimo consiglio dei ministri, al ritorno del capo del dicastero del Tesoro Giovanni Tria dal G20. La poltrona del direttore generale spetta, secondo gli accordi, al Movimento 5 Stelle che è a caccia di un manager che accetti il tetto di 240 mila euro allo stipendio: i candidati restano, al momento, Fabrizio Salini, ex direttore de La7, Andrea Castellari, di Viacom, e Andrea Cardamone, ad della banca online Widiba. In alternativa, c’è la soluzione interna che potrebbe portare a Gian Paolo Tagliavia, arrivato in Rai da Viacom nel 2015 con l’ex dg Antonio Campo Dall’Orto.
Per il presidente invece – che dovrebbe essere espresso della Lega – il nome più quotato è quello di Giovanna Bianchi Clerici ma per ottenere l’incarico deve essere approvato dai due terzi della Commissione di Viglilanza. Ma M5S e Lega non hanno la maggioranza in commissione, quindi sarà necessario un accordo con le opposizioni, per avere il sostegno di almeno uno tra i gruppi di Forza Italia e Pd, su un nome di garanzia. Non è escluso quindi che, in extremis, si viri su uno dei quattro nomi scelti dalle Camera per il cda, come Igor De Biasio, espresso dalla Lega, o Rita Borioni, Beatrice Coletti e Gianpaolo Rossi.
Il clima, tra l’altro, non è dei migliori visto che non si placano le polemiche per l’elezione a presidente della Commissione di Vigilanza di Alberto Barichini, uomo Mediaset vicino a Silvio Berlusconi. “Le opposizioni chi hanno scelto come Presidente, come uomo di Garanzia per la Vigilanza Rai? Un ex uomo Mediaset!”, ha scritto il capogruppo M5S in Vigilanza, Gianluigi Paragone, sul Blog delle Stelle. Sulla Rai fa sentire la sua voce anche il presidente della Camera Roberto Fico. “Sono convinto – afferma – che questa legge vada cambiata. È sbagliato che il governo nomini due Consiglieri e l’amministratore delegato. Io avevo proposto un’altra legge che levava le nomine al Parlamento. Nella mia legge abolivo anche la Vigilanza, volevo essere l’ultimo presidente e in questo senso ho fallito, perché volevo ricondurre gli aspetti di controllo alle Commissioni permanenti”.