Ma perché i giudici chiamati a giudicare la sussistenza o meno del reato di violenza o minaccia a un corpo politico dello Stato si occupano di un fallito attentato e di come avrebbe potuto cambiare la storia italiana? “Tali considerazioni, ancorché apparentemente estranee alle competenze della Corte, appaiono necessarie per sottolineare come ancora una volta in quelle vicende si sia dimostrata fallace e illusoria la speranza di coloro che ritennero di potere attenuare la pressione del fenomeno mafioso mediante politiche ‘al ribasso’ nell’azione di contrasto al fenomeno medesimo e forme di convivenza con questo purché venissero abbandonati i picchi più eclatanti ed evidenti dell’azione criminale che maggiormente allarmavano (e allarmano) l’opinione pubblica”. Un giudizio che vale un’intera sentenza e su cui però i magistrati presieduti da Alfredo Montalto, aggiungono: “Ciò seppure occorra distinguere, poi, tra coloro che, più o meno implicitamente, ma, comunque, consapevolmente, sollecitarono tali forme di convivenza mediante intese più o meno sotterranee e coloro che, come il ministro Conso (Giovanni, ministro della Giustizia dal 13 febbraio 1993 al 10 maggio 1994 ), con una diversa consapevolezza che atteneva non già alla suddetta scelta sollecitatoria, ma solo alla ritenuta obbligatorietà morale di una decisione finalizzata ad evitare nefaste conseguenze, furono, di fatto, soltanto vittime della violenza della minaccia mafiosa”. Tradotto: prima arrivare a quel mancato colpo di grazia ci vollero tutta una serie di colpi precendenti che indebolirono le istituzioni. E quei colpi non sono solo le stragi, ma soprattutto la disponibilità al dialogo dimostrata dai vertiti dei carabinieri del Ros. 

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