Quello del Patto Stato-mafia con i quotidiano italiani, insomma, si conferma un rapporto difficile. Per carità: si tratta pure sempre di un provvedimento di primo grado, su una vicenda complicata e contestatissima. Le motivazioni della corte d'Assise non sono vangelo: sono criticabili, contestabili e confutabili. Ma per criticare una notizia bisogna darla
Il Corriere della Sera la mette a pagina 15 ma senza Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri nel titolo. I due fondatori di Forza Italia non sono neanche nel catenaccio: il quotidiano di via Solverino preferisce titolare collegando l’anniversario dell’eccidio di via d’Amelio con una delle notizie di giornata: “Il dialogo tra Stato e mafia accelerò quella strage“. Dell’Utri spunta nel titolo di Repubblica – a pagina 6 “favorì i piani di Riina” – che invece mette Berlusconi del titolo richiamato in prima: “Stato-mafia, Berlusconi sapeva”. Un passettino in più lo fa la Stampa, sempre nel catenaccio a pagina 15: “Berlusconi nel ’94 sapeva dei rapporti tra lui e Cosa nostra”. Cita il 1994 e pure il nome di Berlusconi direttamente in prima pagina. Un concetto che scompare completamente dalle pagine del Messaggero.
Paradossalmente a titolare meglio lo spazio dedicato al deposito delle motivazioni della sentenza sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra è La Verità: “Il Cav sapeva dei contatti fra Dell’Utri e la mafia”. Solo che lo spazio dedicato è uno spazietto: una grossa foto di Berlusconi e cinque righe di didascalia. E che didascalia: “I giudici hanno coinvolto anche Silvio Berlusconi”. Non Dell’Utri, non Graviano, non Mangano, non decine di pentiti: Berlusconi lo hanno coinvolto i giudici. Dedica una fotonotizia alla vicenda anche il Giornale – titolando però sulla trattativa che accelerò la morte di Borsellino – mentre Vittorio Feltri su Libero si evita ogni dubbio di posizionamento e titolazione: la notizia del deposito delle motivazioni della Trattativa sul suo giornale proprio non c’è.
Quello del Patto Stato-mafia con i quotidiano italiani, insomma, si conferma un rapporto difficile. Ignorato per gran parte del dibattimento, il processo ha avuto nuova breve notiziabilità nel giorno della sentenza. Ma ora che arrivano le motivazioni di quella sentenza, cioè più cinquemila pagine in cui i giudici spiegano come sarebbe nata la Seconda Repubblica e a chi appartengono i morti e le stragi che hanno contribuito a fare cadere la Prima, ecco che sulla vicenda torna di nuovo prepotente il silenzio. Come se non fosse una notizia che i giudici ritengano provato come fino a “dicembre 1994 – cioè dopo le stragi e quando il leader di Forza Italia era già a Palazzo Chigi – Dell‘Utri riferiva a Berlusconi riguardo ai rapporti con i mafiosi, attenendone le necessarie somme di denaro e l’autorizzazione a versare e a Cosa nostra”. Per non parlare del passaggio in cui Dell’Utri “ebbe a riferire a Mangano ‘in anteprima’ di una imminente modifica legislativa in materia di arresti per gli indagati di mafia“. Per carità: si tratta pure sempre di un provvedimento di primo grado, su una vicenda complicata e contestatissima. Le motivazioni della corte d’Assise non sono vangelo: sono criticabili, contestabili e confutabili. Ma per criticare una notizia bisogna darla.