“Frittole, nel mille e quattrocento quasi mille e cinque” è il luogo (un immaginario bosco) e il tempo (1492) in cui si ritrovano, catapultati da un paesino toscano di fine Novecento, il bidello Mario (Massimo Troisi) e il professor Saverio (Roberto Benigni) nel film culto del 1984 Non ci resta che piangere. Un esilarante ritorno al passato che lascia sbigottiti i due protagonisti che fanno fatica a vivere in un contesto in cui gli stessi protagonisti dello sviluppo dei secoli successivi (Leonardo Da Vinci, Cristoforo Colombo) non riescono poi a comprendere elementari e semplici meccanismi del Novecento (mitica la scena di Leonardo che non riesce a capire il gioco della scopa con le carte napoletane).
È la sensazione che ho provato leggendo un comunicato elaborato congiuntamente dalle segreterie nazionali dei principali sindacati del settore bancario presenti in Unicredit. Leggetelo attentamente. Stiamo parlando della banca il cui amministratore delegato, J.P. Mustier, ha avviato una profonda ristrutturazione organizzativa e culturale.
Dopo quattro anni dalla pubblicazione di Io so e ho le prove (Chiarelettere) in cui, per la prima volta, un ex manager bancario denunciava le storture del sistema, la situazione non sembra cambiata. Nel frattempo sono fallite un po’ di banche, sono emerse truffe in danno di milioni di risparmiatori, è stata istituita una commissione parlamentare di inchiesta, sono state ricapitalizzate banche per decine di miliardi di euro, sono state scritte migliaia di pagine sui giornali e registrate centinaia di ore di trasmissioni televisive e radiofoniche. Ma soprattutto sono stati “avvicendati” centinaia di rappresentanti del top e del middle management, i veri portatori del virus dell’inefficienza.
Come ha scritto Fabio Volo, se si sbaglia ad allacciare il primo bottone di una camicia di conseguenza si sbaglieranno tutti gli altri. Gli altri però non saranno errori, ma solo la logica conseguenza del primo bottone sbagliato. E Jean Pierre Mustier, nuovo amministratore delegato di Unicredit, ha provveduto a cambiare tutte le camicie, rimuovendo l’intero top management. E il mercato lo ha premiato sottoscrivendo un mega aumento di capitale di 13 miliardi di euro. Ha capito che il sistema bancario, se vuole salvarsi, deve presentarsi con facce nuove, credibili e preparate. Quelle di prima erano vecchie, colluse e impreparate.
Però poi approfondisci l’indagine e ti rendi conto che non è un problema generazionale ma culturale. Molto più difficile da risolvere per il quale occorre, a quanto pare, un ricambio cromosomico perché il dna ormai infettato è stato trasmesso anche alle nuove generazioni di capi. Adesso pensate all’organizzazione di gran parte delle banche italiane: strutture gerarchiche in cui, al fine di stabilire un capillare controllo, tanto gli impiegati quanto i quadri manageriali (quelli che stanno sulla rete delle filiali) lavorano secondo procedure e vengono misurati in relazione a obiettivi addirittura giornalieri stabiliti dal management delle direzioni centrali.
Tutte le decisioni strategiche e commerciali vengono invece prese nel consiglio di amministrazione o nei comitati delle direzioni territoriali e quindi in uffici separati fisicamente e culturalmente dai luoghi in cui le persone conducono il lavoro. Oltre a reprimere il flusso delle idee, questo è l’opposto dell’organizzazione costruita allo scopo di servire il cliente. Il risultato sono servizi ai clienti che demoralizzano innanzitutto gli stessi clienti. Il management bancario, cioè, rinuncia in partenza a comprendere quali sono le cose che chiedono i clienti. Invece di raccogliere e analizzare gelosamente questa miniera di informazioni, la danno in pasto a giovani manager soggiogati. Ma in questo modo, le decisioni strategiche prese dalle direzioni non saranno mai influenzate da quello che i clienti sperimentano quotidianamente nella loro relazione reale e spesso dolorosa con la banca. E quindi non potranno risultare nell’eliminazione del gigantesco costo economico di questo continuo fallimento.
Gli amministratori delegati dovrebbero fare ciò che pare abbia iniziato a realizzare Mustier. Dovrebbero fare esattamente il contrario di ciò che hanno fatto, subdolamente, i loro predecessori. Il punto di partenza per costruire una banca intorno al cliente è proprio il check e l’ascolto della “realtà parallela”. Il controllo ravvicinato di quello che non va e che i loro più stretti collaboratori spesso non riportano.