Il presidente dell'Anac parla al Corriere dopo la pubblicazione del parere dell'Anac sulla gara di vendita dell'Ilva. E svela il retroscena della telefonata con l'ex ministro: "Mi ha detto che non potevamo non capire che ci eravamo fatti strumentalizzare ed io gli ho risposto che questo rischio non può diventare un alibi per non prendere posizione". Sul tema dei rilanci dei concorrenti: "Diciamo la stessa cosa dell'avvocatura di Stato"
Il governo non può annullare la gara che ha portato all’assegnazione dell’Ilva sulla base del parere dell’Anac, chiesto ufficialmente dal ministero dello Sviluppo Economico. Lo spiega, in un’intervista al Corriere della Sera, proprio il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone. Che svela anche un retroscena legato alle ore successive alla pubblicazione delle 8 pagine nelle quali vengono sintetizzate le “criticità” emerse dall’analisi dei documenti relativi alla gara: l’ex ministro Carlo Calenda ha chiamato giovedì sera Cantone. “Era arrabbiato – spiega il numero uno dell’Anac – ma abbiamo avuto una telefonata civile e corretta; voleva capire cosa avevamo scritto. Mi ha detto che non potevamo non capire che ci eravamo fatti strumentalizzare ed io gli ho risposto che questo rischio non può diventare un alibi per non prendere posizione”.
L’ex titolare del Mise ha trascorso tutta la giornata di venerdì a difendere la correttezza nella gestione della gara. In particolare il punto legato alla possibilità di accettare o meno rilanci da parte dei concorrenti. L’Anac ha detto che la possibilità era stata prevista nel bando, ma l’iter non era stato dettagliato nella lettera alle aziende. Per Calenda, nel 2017 come oggi, non era possibile. Ed è tornato a sbandierare il parere richiesto all’avvocatura di Stato. Ma, stando alle parole di Cantone – e come ricostruito da Il Fatto Quotidiano – quel parere dice altro: “Era stato fatto un bando – ha spiegato il presidente di Anac al Corriere – che prevedeva la possibilità di rilancio, ma nella lettera per invitare le imprese non se ne fa cenno. Noi riteniamo che, malgrado la scarsa chiarezza della regolamentazione, si poteva anche consentire il rilancio, esprimendoci nello stesso modo dell’avvocatura dello Stato“.
L’avvocatura, infatti, non aveva detto che il rilancio di Acciaitalia, la cordata poi perdente, era al di fuori delle regole ma, più semplicemente, metteva in guardia dai rischi legati all’allungamento dei tempi e a possibili contenziosi. In sostanza, quella di Calenda più che un’applicazione di norme è stata una valutazione politica. Il ‘polverone’ alzatosi dopo la pubblicazione del parere dell’Anticorruzione era stato previsto da Cantone: “Non ho dormito tre notti, perché sapevo di quanto era delicata la questione e dei problemi sulla competenza. Il consiglio dell’autorità all’unanimità ha ritenuto che era opportuno esprimerci proprio perché non facevamo alcun accertamento sulla vicenda”, dice al Corriere sottolineando che “il governo avrebbe ben potuto fare le sue valutazioni senza il nostro intervento e noi abbiamo al massimo potuto confermare alcuni loro dubbi, fermo restando che solo a loro spetta decidere”.